L'impero dei falsi
Riccardo Staglianò – Laterza – 2006 – pagg. 214
Imitazioni, repliche, doppioni, duplicati (più o meno) perfetti. Quando si pensa al mercato della contraffazione, i primi nomi che balzano alla mente sono ancora quelli di Rolex, Gucci, Louis Vitton. Ancora i soliti orologi, occhiali, portafogli, dunque. In realtà, i falsi “classici” sono diventati ormai il cimelio bonario di un business che va facendosi sempre più creativo e intraprendente, diversificato e “competitivo”, mirato e minaccioso. Oggi si va dalle mazze da golf alle dentiere, dall'inchiostro per stampanti al lucido da scarpe, dagli asciugacapelli ai trapani. Oppure, si viene a sapere che nel 2001 in Cina ci sono stati 190 mila morti per farmaci contraffatti, che secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità gli stessi sono 1 su 10, che i casi di incidenti di volo registrati dalla Federal Aviation Usa a causa di pezzi sospetti sono stati 166, che tra le nuove vette raggiunte dai professionisti delle patacche ci sono le pastiglie dei freni delle nostre autovetture. Ispirato dalla filosofia “se esiste una cosa significa che è copiabile”, il mercato globale della contraffazione ha raggiunto fatturati che da soli valgono il 7% del Pil mondiale – qualcosa come 512 miliardi di dollari – anche grazie alla sua capacità di innovarsi e al suo sconcertante cinismo, imperturbabile persino di fronte alla vita umana. Un vero e proprio impero, quindi. Così almeno lo definisce Riccardo Staglianò – redattore di Repubblica.it e docente di nuovi media – nel suo libro-inchiesta “L'impero dei falsi”, un illuminante diario di bordo che ricostruisce la parabola della merce contraffatta dal magazzino di fabbricazione al consumatore, da uno sperduto villaggio del Guangdong al centro storico di una qualsiasi delle nostre città. Si parte dalla Cina e si arriva, impietosamente, al porto di Napoli, dove entra il 70% del tessile prodotto nella Repubblica Popolare. La merce viaggia, attraversa frontiere, non fa rumore, arriva a destinazione. Tra capannoni stipati di pacchi, dita ormai insensibili ai fori degli aghi, improbabili rivenditori al dettaglio e roccaforti delle griffe taroccate, Staglianò indaga sui presunti legami del settore del falso col terrorismo, rivela connivenze delle maison occidentali, certifica i “ritorni” per i brand veri, individua le responsabilità delle multinazionali. Una grande traversata che rivela complicità e propone dubbi su uno dei tanti lati oscuri della globalizzazione, quello dai confini più labili proprio perché mutevoli e, troppo a lungo, sottovalutati.