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Scritto da nel Numero 148 - 1 Febbraio 2018, Politica | 0 commenti

Lo stipendio dimenticato

Lo stipendio dimenticato

Dopo aver vinto le elezioni americane, l’uomo dimenticato è diventato il protagonista delle campagne elettorali europee. Chi è l’uomo dimenticato? Chi è il cittadino che fa fatica ad arrivare a fine mese, a mettere insieme le esigenze dei suoi figli con quelle del suo budget, a raggiungere gli obiettivi di realizzazione personale e a liberare le nuove generazioni dal giogo della povertà e dell’ignoranza? Ma soprattutto, questa persona è un beone pronto a trangugiare ogni fesseria promessa in campagna elettorale? Pronto a credere che aumentando il deficit cala il debito, che ci sono investimenti ad alto moltiplicatore che trasformano 1 euro in 10, che è sufficiente fermare i migranti per potersi non vaccinare e liberarsi dalle multinazionali del farmaco? Insomma chi è davvero l’uomo dimenticato, quello che non trova rappresentanza istituzionale e di che cosa avrebbe bisogno?

Da questa campagna elettorale non è dimenticato il fannullone, quello che non ha voglia di far niente, che non ha studiato e non lavora, perché può votare per il reddito di cittadinanza, la cui unica incombenza prevista sarà quella di scaldare un banco in aule di formazione, che immaginiamo gigantesche, dove ai docenti saranno affiancate delle guardie in grado di mantenere ordine e disciplina. Non è dimenticato il ricco, che può votare per una flat tax che gli ridurrà il carico fiscale a 1/3 dell’attuale.

Chi è allora il vero povero, dimenticato? Probabilmente allora lo sono quella coppia che continua ad andare a lavorare per 1000 scarsi euro al mese, per una cooperativa in subappalto da un qualche carrozzone para-statale troppo sindacalizzato per lavorare, per una ditta che li impiega in lavori saltuari con orari bislacchi, e che con quei soldi mantiene due figli, stringe i denti per pagare il mutuo della prima casa e a cena fuori non ci va. Gli umili che pagano le storture dei potenti ogni giorno sulla propria pelle, svolgendo mansioni per cui piccoli investimenti in macchinari renderebbero tanto più facile la vita di ogni giorno. Quelli che non possono permettersi il lusso di prendere una multa, di mantenere due automobili, quelli che se passa il reddito di cittadinanza a lavorare non conviene più andare, e della loro professionalità strenuamente difesa tra due anni non sapranno più che farsene, quelli che stanno già nella no tax area e che se quell’anno guadagnano un po’ meno gli 80 euro manco li prendono e la flat tax magari gli alza pure l’aliquota, quelli che se usciamo dall’euro con il 30% di svalutazione della moneta non solo non diventano più ricchi ma perdono pure il valore di quella prima casa tanto sudata.

E’ dimenticato chi ha bisogno.

Così come, specularmente, sono dimenticati quei ragazzi meritevoli che dopo aver studiato trovano un mercato del lavoro ingessato dalle consorterie di potenti, da obiettivi di tagli invece che di crescita, da obiettivi che nulla hanno a che vedere con il supporto alla promozione delle persone e preferiscono raddoppiarsi lo stipendio andando a svolgere la medesima mansione qualche centinaia di chilometri fuori dai confini nazionali, in quell’Europa che lungi dall’essere matrigna è l’unica ancora per un Paese che simultaneamente riesce a parlare male di sé e a immaginare che facendo da solo possa fare meglio.

E’ dimenticato chi ha merito.

Altro che sciacquarsi la bocca con la parola lavoro e promettere assistenza, fare i sindacalisti con la burocrazia dei contratti nazionali o criticare il Jobs Act dopo aver promosso i contratti interinali: nessuna formula alchemica sarà sufficientemente magica da recuperare una situazione reale di abbandono. Ciò che accomuna chi ha merito e chi ha bisogno è che il proprio lavoro venga valorizzato da un salario maggiore: è questa la grande battaglia dimenticata, sia da chi si professava marxista ma a ben vedere è un burocrate sia da chi si dice capitalista ma a ben vedere è un artistocratico.

Cari partiti politici, da quando come topi avete seguito i pifferai magici avete demolito le fondamenta della nostra Repubblica antifascista, fondata sul lavoro e sulla vostra capacità di selezionare classe dirigente: su queste basi strategiche, ogni generazione sta acquisendo dalla precedente i difetti e non i pregi, la direzione del nostro Paese è lasciata ai vincoli esterni e questa condanna non sembra avere fine.

Siamo in una democrazia e le colpe ricadono su di noi, popolo sovrano, che senza alibi o scuse risponderemo all’avvenire, pertanto sarebbe meglio esercitare il delicato compito di rappresentanti del medesimo con disciplina e onore e non approcciandosi al voto come fosse un gratta e vinci, una lotteria o una tombola, dove si prende una cartella del Bingo attratti dai ricchi premi e cotillon.

Non seminate vento, o quando i dimenticati raccoglieranno la tempesta si ricorderanno di voi

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