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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 140 - 1 Maggio 2017 | 0 commenti

Evviva il Primo Maggio e la produttività

Evviva il Primo Maggio e la produttività

La Festa del Lavoro è il fiore della grande battaglia socialista di emancipazione dei lavoratori, che sulla base dell’idea del plusvalore marxista intendono rivendicare di godere dei frutti di ciò che hanno prodotto con il loro lavoro fisico e intellettuale.

Nel dibattito politico attuale il lavoro fa la parte di Godot, come se si aspettasse un qualcosa che non arriva e non arriverà mai: come se il lavoro fosse un animale ormai in via di estinzione e non in grado di accogliere le potenzialità di ciascuno. Ci si arrovella sui redditi da garantire a chi non lavora, sui sussidi in grado di farci vivere senza lavorare: la realtà è ben diversa e dice che per vivere sulla Terra occorre produrre ricchezza, che la tecnologia consente di produrla meglio e in quantità maggiore, che i cambiamenti tecnologici modificano la distribuzione delle opportunità di lavoro e che molti dei lavori che c’erano ieri non ci sono oggi e molti di quelli di oggi non ci saranno domani.

Il diritto del lavoro genera redistribuzione verso chi ha partecipato al processo produttivo. E qui sta il punto con il quale voglio celebrare questo Primo Maggio: il diritto a partecipare al mondo del lavoro richiede l’impegno ad essere produttivi e a fare in modo che l’azienda per cui si lavora possa avere successo. Su questa base si rende possibile la battaglia che manca oggi sul tavolo, quella per gli aumenti di stipendio, che sono possibili solo con un generale incremento della produttività.

Non si tratta di respingere il cambiamento ma di pretendere il diritto di parteciparvi. Non si tratta di immaginarsi oziosi in un mondo in cui lavorano le macchine: non è questa la Repubblica fondata sul lavoro. Si tratta invece di voler mettere a frutto il proprio ingegno, di combattere le rendite e i vincoli dei sistemi esclusivi, di costruire gli strumenti per partecipare al mercato globale, una scuola di qualità, un sistema di formazione permanente. Si tratta di aver voglia di giocare la partita del mondo del lavoro, non di ritirarsi in rotta verso sussidi universali e modelli nordcoreani in cui uno Stato padrone dovrebbe elemosinare un po’ della sua povertà a ciascuno.

Immaginare che il lavoro scomparirà è una strada sbagliata perché falsa e contraria al benessere dei lavoratori e del popolo, è la strada per cui si dà un pesce senza insegnare a pescare, la strada per cui da una parte staranno i ricchi imprenditori privati e i loro manager a gestire rendite e dall’altra i poveri, gli Stati e i cittadini esclusi dal lavoro. E’ la strada scivolosa di una democrazia mediatizzata che si propone di distruggere la ricchezza dei tanti, la via con cui le manine stanno portando all’ammasso i nostri cervelli convincendoci dell’ineluttabilità di un fallimento che non corrisponde alle grandi potenzialità del mondo attuale.

I grandi progressi tecnologici consentono inimmaginabili opportunità di realizzazione personale: noi che stiamo dalla parte dei lavoratori, vogliamo degli stipendi che consentano a ciascuno di coglierle in base alle proprie preferenze. Le imprese creano valore grazie all’accordo tra capitale e lavoro e alla base di questo sta la redistribuzione del salario. Solo partecipando al mondo del lavoro si potrà generare progresso e redistribuirlo e il diritto alla propria parte è l’unica strada lungo la quale si possa trovare un accordo economico tra le parti.

Vogliamo lavorare meglio, creare valore e con esso lavoro, e vogliamo guadagnare di più. La battaglia non è cambiata: buon Primo Maggio!

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