Piano casa Italia
Quale casa, per quali italiani?
La via del “ricostruire sociale”
Ancora trema la terra. Troppo forte è la disperazione di chi ha perso tutto e la paura di chi teme un coinvolgimento ancor più radicale. Il cuore è rivolto a tutte le famiglie alle prese con una difficile “ricostruzione sentimentale” dopo il terremoto, ma il pensiero e lo sguardo di analisti economici e sociali devono essere già connessi alla necessità di una “ricostruzione di luogo” per creare futuro e nuove economie.
Il bisogno di casa di chi l’ha persa e l’attaccamento alla casa di chi teme di perderla sono due evidenti marcatori della necessità di ripensare il senso dell’abitare. Torna in primo piano quanto per il 72% degli italiani possessori di casa sia più orientato all’idea di casa come asset economico e sempre meno capace di operare un vero e proprio “capovolgimento” per cui “la casa non è una tana e l’economia non è il business” (S.Petrosino).
Nel dibattito pubblico, sull’onda emotiva del dramma, emerge l’idea di ricostruire “tutto come era prima”, quasi a voler dimostrare una capacità di resistenza senza manifestare una disponibilità ad apprendere dall’esperienza. Coltivare una riflessività sul nostro abitare e costruire potrebbe aprire inediti spazi di trasformazione delle nostre comunità e città.
Il Governo ha deciso di istituire il team Casa Italia, di cui fanno parte l’ingegnere Giovanni Azzone e l’architetto Renzo Piano, per un piano sulla prevenzione e messa in sicurezza del territorio. Un lavoro complesso che entro l’estate 2017 si prefigge di creare un database nazionale sulle tipologie di edifici e la loro esposizione ai rischi (sismico, idrogeogologico, etc), ma che non sembrerebbe cogliere l’occasione della trasformazione territoriale di questi patrimoni critici. Il terremoto, infatti, non ha colpito solo le nostre “tane”, ma il nostro essere urbs (struttura fisica), civitas (realtà sociale) e polis (sistema di governo). La ricostruzione, quindi, non può che interessare gli elementi strutturali, la dimensione comunitaria, la capacità di esercitare una governance adeguata.
Le conoscenze acquisite ci consentono di valutare dove è meglio non ricostruire e dove è necessario un diverso costruire, oltre che una comparazione tra le diverse azioni post-terremoto del recente passato. Una visione dinamica del rapporto tra casa, condizioni socio-economiche dei suoi abitanti e prospettive di investimento aprirà un dibattito non solo sul “come” ricostruire, ma anche sul “cosa”.
“Quale casa, per quali italiani?” è la domanda a partire dalla quale si potrà aprire un “ricostruire sociale” in forte connessione alle nuove esigenze delle diverse componenti della comunità. È in questa prospettiva che, oltre al prezioso lavoro dei tecnici di Casa Italia, dovrà aprirsi un ricco dialogo per comprendere quale tipo di abitare potrà accogliere i tanti anziani che abitano stabilmente i luoghi dell’epicentro, potrà essere attraente per chi sceglierà nuovamente quelle località come luoghi di vacanza, o ancora in quale contesto e per quali funzioni ricostruire i nuovi edifici.
Riscostruire sociale allora richiede un approfondimento dell’aggettivo. Sociale in relazione al processo di partecipazione dei cittadini. Sociale in relazione alla capacità di interpretare le nuove domande di persone al limite tra autonomia e non-autosufficienza. Sociale in relazione ad un “pacchetto di servizi” (socio-sanitari, culturali, etc) che possono coniugare una convivenza tra spazi privati collettivi. Sociale in quanto capace di offrire una chance a coloro che da soli non riuscirebbero mai a pagare un affitto o a sostenere una rata di un mutuo. Sociale perché crea una prospettiva intergenerazionale in cui giovani e anziani possono agire in reciprocità e scoprirsi buoni compagni di viaggio. Sociale perché capace di offrire un’infrastruttura tecnologica che supera il digital divide territoriale.
In questo contesto non sentiamo l’esigenza di fare i ragionieri sui 6 miliardi di investimenti pubblici per la ricostruzione e i 20 milioni per il Piano Casa Italia, ma condividiamo la straordinaria opportunità di operare nuove trasformazioni che sfidano le capacità di un’intelligenza collettiva. Un genius loci che a volte ha prodotto vere opere d’arte e in altre ha mostrato limiti nella capacità di relazione positiva con l’ambiente. Perché questa sia davvero una ricostruzione sociale abbiamo davvero un gran bisogno di azioni esemplari.