Custode di mio fratello
Sono forse io il custode di mio fratello? Una domanda antica che irrompe nella comunità fermana alle prese con una vicenda di violenza che ha lasciato a terra il giovane africano Emmanuel e stravolta dal dolore la sua sposa. Intorno un contesto di comprensibile e notevole confusione emotiva.
Confidiamo nelle indagini per la necessaria chiarezza, che consenta alla giustizia di ristabilire le ragioni dell’assoluto rispetto della vita umana.
Il dramma resta però di fronte a noi. La tentazione è di fuggire dal mistero del male e dal fronte delle violenze e delle ingiustizie.
Una prima via di fuga fa perno sull’idea che tutto è riconducibile ad uno scontro tra la vittima e il carnefice. Ai più resta solo la scelta di decidere da quale parte schierarsi, oppure aspettare che tutto passi e si possa tornare ad una quotidianità normalizzata.
Una seconda via di fuga è evocare lo scontro tra diverse fazioni: gli ultras del “pro” e quelli del “contro” l’immigrazione, l’accoglienza, i diritti di tutti o di qualcuno. In una contesa che pian piano fa svanire il valore della vita umana per evaporare in chiassose discussioni di principi e valori astratti e per questo disumanizzanti.
Una terza via di fuga di solito propone l’ipotesi della “mela marcia” all’interno di un paniere che tornerebbe sano una volta isolato il frutto infetto.
Una quarta via di fuga è data dal coltivare l’idea che nella propria famiglia un fatto del genere non accadrebbe mai, perché se si è persone per bene e si educa bene i figli è garantita una certa immunità.
Di vie di fuga ne possiamo elencare davvero molte altre. Alcune vie di fuga possono essere anche collettive: la peggiore riduce il tutto a questioni di pubblica sicurezza. Nessuna via di fuga però ci può portare tanto distanti dalla domanda cruciale che dice della nostra umanità: “sono forse io il custode di mio fratello?”. Questa è la domanda con cui Caino rispose a Dio che chiedeva dove si trovasse Abele. Per Levinas da quella rabbiosa domanda di Caino ebbe inizio ogni immoralità. A quella domanda per Baumann esiste una risposta senza scampo: “Certamente sono io il custode di mio fratello. Che io lo ammetta o no, sono il custode di mio fratello perché il suo benessere dipende da ciò che io faccio o che mi astengo dal fare. Sono un essere morale perché riconosco questa dipendenza e accetto la responsabilità che ne consegue. [...] La dipendenza del fratello è ciò che fa di me un essere morale. La dipendenza e la morale o si danno insieme, o non si danno”. Allora perché facciamo così fatica a riconoscere questa esperienza originaria che sin dalla nascita ci vede accomunati come fratelli in una unica avventura umana?
Perché non riusciamo a sentire la responsabilità di essere custodi?
Carnefice e Vittima non nascono tali. In questa senso occorre reinterrogare il nostro essere comunità, le forme del nostro vivere insieme.
Forse potremmo scoprire che la mano violenta non è un frutto di un destino cinico e baro, ma l’esito di un percorso di vita accidentato, poco curato nella dimensione educativa, magari con difficoltà che vengono da lontano e dove tanti soggetti con responsabilità educative, sociali e politiche hanno avuto difficoltà ad essere custodi di domande di riconoscimento, di cura e di bene. In questo senso siamo sfidati da tante biografie dell’abbandono. Allo stesso modo potremmo riflettere sulle cause di un esodo di massa che spinge tante persone a mettersi in viaggio verso la vita e a trovare in molti casi la morte. Ingiustizia su scala planetaria, un sistema sociale e economico insostenibile per i più, la violenza come consuetudine. Una sbornia collettiva per cui l’altro ha valore solo se rende economicamente.
La stessa reazione della nostra comunità ha tratti preoccupanti. Alla fine, dopo la veglia di preghiera, tutto è proseguito nel modo previsto. Addirittura la morte ha generato ulteriori “personaggismi” che assumendo un ruolo di catalizzatore diventano veri e propri anestetici per la comunità.
L’augurio che possiamo farci è che i prossimi giorni siano per comunità fermana giorni di esodo alla ricerca di una risposta alla domanda antica. Perché lo sviluppo o è umano oppure non è.