Votare al referendum per mandare un segnale d’ampio respiro
In Italia quando si tratta di difendere l’ambiente ed il territorio si solleva puntualmente un polverone. Come se avere rispetto vero per la Natura, debba per forza mettere in pericolo lo «sviluppo del Paese» e determinare la perdita secca di una quantità spesso imprecisata, a volte inventata, di «posti di lavoro».
Il 17 aprile si vota per decidere se i permessi per le estrazioni di idrocarburi in mare, entro le 12 miglia dalla costa, debbano durare fino all’esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, oppure fino al termine della concessione, come auspicano i promotori del SI al referendum.
I (pochi) dati forniti dal Ministero dell’Ambiente parlano chiaro: le piattaforme per l’estrazione di idrocarburi dai fondali marini inquinano, in quantità variabili, senza ombra di dubbio. Se ciò avvenga anche in tutte le altri parti del globo, da alcune delle quali magari l’Italia importa petrolio e gas, in questo caso non è rilevante. Anche perché il Mediterraneo è un mare “chiuso”. E alcune piattaforme sono visibili dalla costa: ciò vuole significare che nella malaugurata ipotesi di incidente, anche di lieve entità, sarebbe un disastro per le attività economiche (turismo, pesca) e per la vita stessa delle popolazioni più direttamente coinvolte.
Ma non è solo su questo argomento, ampiamente trattato dai promotori del referendum, che qui è opportuno soffermarsi. Del resto, è bizzarro che lo stesso Ministero abbia a disposizione i piani di monitoraggio delle sole piattaforme Eni. Come, in un Paese ad alto grado di immoralità e corruttibilità, non sorprendono le intercettazioni che riguardano il Ministro delle Attività produttive, Federica Guidi, e il fidanzato, Gianluca Gemelli, in trionfo per l’imminente sblocco dell’operazione Tempa Rossa (impianto di estrazione di proprietà Total) grazie all’inserimento in extremis di un emendamento all’interno della Legge di stabilità; secondo le accuse della Procura di Potenza avrebbe potuto fruttare al Gemelli sub-appalti per miliardi di euro.
Il 17 aprile non sono in ballo posti di lavoro o il fabbisogno energetico nazionale. Le circa 90 piattaforme interessate dal quesito referendario impiegano pochissimi lavoratori, pare che quelli direttamente interessati siano una settantina di persone. Il 17 aprile, al contrario, è in gioco una delle poche possibilità di mandare un segnale forte al governo, privo di una politica energetica vera e propria (come gli esecutivi dell’ultimo decennio) e ad una classe dirigente rimasta ancorata a modelli di sviluppo anacronistici, superati, fallimentari. E, al contempo, ci si libererebbe nella giusta tempistica di vecchie piattaforme redditizie solo per le multinazionali che vi operano, visto che le royalty incassate dallo Stato ammonterebbero a qualche centinaio di milioni di euro. Briciole.
Il sistema economico basato sulle estrazioni di idrocarburi e lo sfruttamento sfrenato delle risorse minerarie del pianeta, correlati al modello consumistico, è fallito. Bisogna prendere consapevolezza di ciò, non girarsi dall’altra parte e fare riferimento a indici finanziari e benessere economico. Le realtà di degrado ambientale e, quindi umano, aumentano giorno dopo giorno, sempre per opera delle multinazionali, è il caso di dirlo, senza scrupoli. Alcune delle quali perforano i nostri mari e sono direttamente interessate al referendum del 17 aprile.
E’ evidente che se non si modifica lo stile di vita – si deve consumare meno energia ed adottare stili di vita sostenibili – diventa poco importante il risultato del referendum, dal punto di vista pratico, anche in caso di vittoria del SI e di raggiungimento del quorum. Ma è altresì vero come non si può modificare l’attuale sistema basato sulle estrazioni se non si inizia a lasciare nella pancia della Terra i combustibili fossili. Riducendo le emissioni di carbonio e terminando immediatamente le operazioni di ricerca delle risorse del sottosuolo tramite tecniche dannose per l’ecosistema.
Il segnale per invitare ad invertire la tendenza è a portata di mano ovvero di scheda elettorale. Senza farsi plagiare: votare SI al referendum del 17 aprile prossimo non significa sciattamente assecondare ambientalisti poco informati o una fetta di popolazione contraria a tutto, come purtroppo sostengono tanti presunti intellettuali nel nostro Paese. Significa esprimere un pensiero, un auspicio, un desiderio che va oltre il mero quesito della consultazione.
Infine, è imprescindibile una considerazione di carattere politico. Indire un referendum a due mesi dalla tornata elettorale delle amministrative è offensivo nei confronti della cittadinanza. Il supremo strumento di democrazia diretta non può essere umiliato. Occorre un intervento del legislatore che obblighi i governi ad accorpare i referendum alle più vicine elezioni amministrative o politiche. Come accade in tante altre democrazie del mondo. Anche per obbligare tutti i rappresentanti politici a prendere una posizione chiara di fronte ai quesiti che la popolazione propone mediante lo strumento referendario.