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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 127 - 1 Marzo 2016 | 0 commenti

Università, matricole in fuga

Università, matricole in fuga

Partendo dall’incontestabile  presupposto che l’Italia è fra i paesi UE con il numero più basso di laureati, l’ulteriore calo delle immatricolazioni non è senz’altro un risultato da salutare con favore.  Nell’arco di soli 10 anni le matricole si sono ridotte di oltre 60.000 unità. All’ultimo giro di boa infatti si sono immatricolati meno di 260.000 ragazzi.

In netta diminuzione anche gli iscritti ai test d’ingresso alle facoltà a numero chiuso, ovvero quelle che tradizionalmente garantivano un posto di lavoro più o meno sicuro (medicina, odontoiatria e architettura per citarne alcune) nel 2015 non hanno superato quota 80.000 iscritti contro i 90.000 e passa del 2014 e i 115.000 del lontano 2013. Le Università più colpite dal fenomeno sono quelle del Centro-Sud, Isole comprese. Un ruolo chiave è senz’altro dovuto alla disparità di condizioni fra gli atenei del Sud e quelli del Nord, oltre ovviamente alla condizione socioeconomica delle famiglie di riferimento. I dati confermano che i giovani provenienti da famiglie a basso reddito sono quelli che hanno avuto maggiori difficoltà ad iscriversi ad un corso di laurea complice l’aumento vertiginoso delle rette (dal 2008 al 2013 si è passati da 702 a 770 Euro di media) e la diminuzione delle borse di studio.

Nell’ultimo quadriennio è ulteriormente aumentato il numero di studenti meridionali immatricolati nelle Università centro-settentrionali (Lombardia ed Emilia Romagna le più gettonate). Mentre il fenomeno inverso, ossia lo studente del Nord che scende a studiare nel  Sud, è praticamente inesistente, come del resto è  nulla la mobilità nel Mezzogiorno, infatti, difficilmente un neodiplomato si trasferisce dalla Calabria alla Basilicata per motivi di studio preferendo gli Atenei più “quotati” del nord Italia. Restando in tema, un altro ruolo chiave è rappresentato dalle scelte politiche degli ultimi governi che per motivi in parte giustificabili hanno dirottato i fondi statali destinati agli Atenei secondo logiche “meritocratiche”,  premiando così le Università più virtuose. Probabilmente la scelta sbagliata è a monte. Negli ultimi decenni infatti abbiamo assistito ad un proliferare di Atenei che ha finito per danneggiare ulteriormente il complesso e contraddittorio universo delle Università italiane. Le varie riforme che si sono susseguite negli ultimi 20 anni, tra le quali spicca il fallimentare passaggio dai corsi quadriennali al “3+2”  di berlingueriana memoria (nata con l’intento di limitare il numero di studenti fuori corso) senza scordarci anche delle “riforme” Brunetta e Gelmini che non hanno portato ai risultati sperati.

E’ inutile negare che avere più immatricolati non significa necessariamente aumentare il numero di laureati (dove come accennato siamo fanalini di coda in Europa) ma è altresì innegabile che averne sempre meno rende alquanto improbabile un incremento di nuovi “dottori”. Risolvere il problema non è facile ovviamente. Puntare su poche sedi (penso agli atenei d’eccellenza come Bologna, Padova, Pavia solo per citarne alcuni) può essere forse la scelta più saggia, ma sarebbe da evitare una loro polarizzazione esclusivamente in un area del paese.

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