Trump e il grande show delle Primarie
Wikipedia definisce le Elezioni Primarie come “una competizione elettorale attraverso la quale gli elettori o i militanti di un partito politico decidono chi sarà il candidato del partito (o dello schieramento politico del quale il partito medesimo fa parte) per una successiva elezione di una carica pubblica. La ragione delle elezioni primarie è la promozione della massima partecipazione degli elettori alla scelta dei candidati a cariche pubbliche, in contrapposizione al sistema che vede gli elettori scegliere fra candidati designati dai partiti.”
Quando in Italia il Partito Democratico propose le Primarie – ispirandosi ai “padri” americani – l’intenzione era di voltare pagina con la vecchia politica, coinvolgere e dare più spazio ai simpatizzanti e sostenitori, trasmettere un senso di trasparenza e soprattutto ordine. In effetti, abituati alle caotiche risse dei talk show politici, i posati confronti tra candidati trasudavano un’inconsueta e poco italica disciplina.
Si rimane quindi un po’ spiazzati nell’assistere alle attuali Primarie presidenziali americane, degenerate nei toni e nei contenuti soprattutto sul versante repubblicano. La causa ha un nome e un cognome, Donald Trump, che, paragonato per vari aspetti a Berlusconi, ha reso “italiana” questa tornata elettorale. Da notare come l’aggettivo “italiano” venga utilizzato in politica con un’accezione negativa: lo vediamo oggi riferito ai toni e allo stile di Trump, lo abbiamo visto qualche mese fa utilizzato con riferimento all’ ingovernabilità spagnola scaturita dalle ultime elezioni del dicembre scorso.
Ordine, disciplina, fair play: comportamenti che non appartengono alla cavalcata di Trump verso la Casa Bianca. Si parla di gaffe, banalizzando, un po’ come si faceva con Berlusconi, ma in realtà la strategia è subdola e voluta.
L’elenco è lungo: la polemica col Papa, i razzisti attacchi contro i musulmani, la legalizzazione del waterboarding, le offese sessiste alla Clinton e alle giornaliste, il tweet mussoliniano “Meglio un giorno da leone che cento anni da pecora”, ecc…
Trump ha portato il dibattito politico su un piano diverso, non quello abbottonato e formale, ma televisivo e provocatorio, e da navigato showman si è portato dietro anche i propri sfidanti/compagni di partito: i dibattiti tra Trump e Rubio sono infatti irrimediabilmente degenerati in battibecchi sull’aspetto fisico, sulla pettinatura, sull’età, sull’iperidrosi.
Trump da classico candidato anti-sistema e contro i partiti tradizionali, parla alla pancia degli elettori: uso di parole colorite, abito impeccabile, ironico ma credibile, provocatorio e politicamente scorretto, diverso dagli altri candidati. Non presenta un vero programma politico, la strategia pare più essere quella di voler vendere e promuovere il brand “Donald Trump”.
Le urne diranno se è la strategia vincente.