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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 123 - 1 Ottobre 2015 | 0 commenti

Je suis automobiliste

Je suis automobiliste

Il trend di questi anni individua nell’automobilista un potenziale delinquente prima che un cittadino utente del trasporto: alimentatore dei gas serra sterminatori delle generazioni future, potenziale assassino di più deboli utenti della strada e criminale quando, pur comportandosi del tutto correttamente, si scopre avere bevuto un goccio in più. Per tale motivo gli va resa la vita se non impossibile quantomeno costosa, vanno diffusi a macchia d’olio i controlli di limiti di velocità bassissimi, con velox che sanzionano con centinaia di euro il superamento dei 50 km/h ancorché su strade a doppia carreggiata, e perchè non ridotti ai 30 all’ora a piacimento qua e là, vanno rimosse le auto ad ogni buona occasione di pulizia strade, rincarati i parcheggi e allora perché non inasprite le tasse sulla benzina e sulle auto nuove, le assicurazioni e i bolli, i costi per le patenti e ogni qualsiasi spesa relativa a quest’attività para-criminale.

La teoria economica dice che questo meccanismo di extra-costi incentiva comportamenti virtuosi, come per esempio l’uso della bicicletta. Con la bicicletta non sono richieste targhe né burocrazie né assicurazioni, si può sfrecciare sulle preferenziali degli autobus, nelle zone pedonali, sui marciapiedi e sotto i portici, si può parcheggiare gratis legando il velocipede a un palo o a un bidone, attraversare sulle strisce pedonali e non avere le luci in regola. Inoltre, per favorire tali comportamenti virtuosi, è possibile costruire piste ciclabili, utilizzando i soldi dei potenziali criminali viziosi che usano l’automezzo.

Non è certo il caso di gingillarsi con considerazione di tipo sociale od economico, che porterebbero a suggerire che chi utilizza l’auto non lo faccia per il gusto di imbottigliarsi nel traffico, per la libidine delle code al semaforo e al benzinaio, per il gusto di consumare le gomme e di poterle sostituire spesso, di consumare benzina e rischiare incidenti. Che chi usa l’auto lo faccia perché dopo aver portato i figli a scuola deve recarsi al lavoro distante qualche decina di chilometri, perché la sera deve passare a fare la spesa o una commissione dall’altra parte della città o perché a fine giornata ha magari voglia di andare a trovare un amico. Che chi non usa la bici forse non ha il tempo e il fisico di uno studente, ha un cartellino da timbrare a orari e in luoghi prestabiliti, e che chi non usa i mezzi pubblici magari lavora lontano dalle fermate e se dovesse andare a scuola e poi al lavoro e poi a fare la spesa in autobus dovrebbe passare a un lavoro part-time.

Dall’1 settembre ho la fortuna di poter andare a lavorare in treno, il che mi consente di risparmiare qualche migliaia di euro all’anno rispetto al precedente pendolarismo in auto, e di fare 4 chilometri a piedi al giorno, mentre non riesco ad accedere ai servizi per ciclisti del Comune di Modena (come racconto in questo articolo). La sera arrivo a casa più riposato e la mattina leggo il giornale comodamente sui tavolini dell’Eurostar: una volta in un mese ho accusato 50 minuti di ritardo, trascorsi a chiacchierare coi colleghi e i vicini. Niente a che vedere con la trincea del metro dopo metro della coda in autostrada, dei pieni di carburante da fare tre volte alla settimana e delle code ai semafori: ho la fortuna di poterlo fare, ma non per questo mi sento migliore di chi come me prima di questo settembre trascorre in auto per necessità e con fatica lo stesso tempo del pendolarismo.

L’auto è un mezzo di libertà assoluta e usarla per la costrizione dei ritmi quotidiani non è certo il suo bello. E ora che sono evaso da quel vincolo, voglio continuare ad esprimere a testa alta la mia solidarietà per chi ogni giorno avanza metro dopo metro nella trincea della strada.

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