Il diritto alla felicità
“A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”. E’ questa l’enunciazione contenuta nella Dichiarazione d’indipendenza Americana del 4 luglio 1776. Nella storia delle norme fondatrici di uno Stato è la prima volta che viene sancito “il diritto alla felicità.
Nell’art. 3 della Costituzione Italiana si coglie un accenno implicito del diritto alla felicità intesa come “Pieno sviluppo della persona umana”.
L’enunciato della Dichiarazione americana è una rivoluzionaria affermazione di principio, ma resta un’asserzione astratta se non si risponde alla domanda: cos’è la felicità ?
La risposta della filosofia greca e di molti altri filosofi è che La felicità è lo scopo ultimo della vita.
La letteratura sulla felicità è immensa e molto antica.
Nell’antichità classica la nozione e la ricerca della felicità sono state oggetto di varie dottrine che si possono ricondurre all’Edonismo; il maggiore rappresentante è Aristippo di Cirene (435 – 366 a. C.) che fondò la Scuola cirenaica. L’Edonismo considera il piacere fisico e immediato come l’unico bene possibile e quindi come fondamento della felicità.
La concezione edonistica viene ripresa da Epicuro (341 – 270 a. C.) che per primo ha trattato l’argomento in modo specifico nella “Lettera sulla felicità”, rivolta a Meneceo, personaggio della mitologia greca. Epicuro si differenzia dall’Edonismo in quanto afferma che solo la filosofia e la conoscenza delle cose realizzano lo stato di felicità.
Per Aristotele (384-322 a. C.), illustre esponente della filosofia greca, la felicità è un fine da raggiungere: sono due le caratteristiche che devono essere presenti nella nozione di felicità. La prima è che la felicità deve essere un fine e non un mezzo; l’altra è la precisazione che la felicità è una ragione di vita che deve essere perseguita per quello che è veramente è e non per ottenere qualcos’altro. Perseguire i nostri obiettivi senza smarrire la strada della virtù e con l’abitudine di fare il bene significa raggiungere la felicità.
Per Emanuele Kant (1724–1804), filosofo tedesco, la felicità è la “coscienza della gradevolezza della vita che accompagna tutta l’esistenza di un essere ragionevole”. Secondo Kant le persone dovrebbero meritare la felicità piuttosto che desiderarla. La felicità dipende della scelte di ciascuno di noi, sono le scelte libere che ci fanno arrivare alla realizzazione di una vita felice. Quindi le nostre scelte sono la chiave del nostro diritto alla felicità.
Il tema della felicità è particolarmente presente nella dottrina del Cristianesimo. Già nell’Antico Testamento si afferma nei Proverbi (4:7) “ Chi confida nel Signore è felice”. Nel Vangelo di Matteo (5, 1-12) Gesù elenca, in prospettiva escatologica, una serie di azioni per raggiungere lo stato di beatitudine (felicità).
Nell’epoca moderna, a partire dalla stagione dell’Illuminismo, la nozione di felicità ha assunto un significato sociale più ampio, interessando anche la dimensione del pensiero sociale e politico, oltre che filosofico .Il tema della felicità è entrato anche nell’agenda di molti leader politici. In Francia è stata recentemente costituita una commissione di esperti col compito di studiare e “confezionare” il “PIL del benessere”. Nel comune di Ceregnano, un piccolo centro del Polesine nella provincia di Rovigo, è stato addirittura creato “l’assessorato alla felicità”.
Oggi, al di là del livello filosofico, cosa intendiamo con l’espressione “persona felice”. Si tratta di una persona le cui condizioni materiali e spirituali sono positive, liete, gratificanti.
Si può dire che non esiste la condizione di felicità assoluta. Ciascuno è felice a “suo modo”, per ragioni “sue” che variano da individuo a individuo. Tuttavia quando si pensa alla natura della felicità si fa riferimento ad alcune cose concrete: salute, serenità, intelligenza, cultura, saggezza amicizia, un’esistenza vissuta in pace con se stessi e con gli altri. Queste cose sono la felicità e sono essenziali e come tutte le cose essenziali sono comuni a tutti gli esseri umani. Ogni uomo non può fare a meno di basare la propria felicità su fattori che sono insiti nella sua stessa natura di uomo e per questo essenziali e quindi universali.
La vita è un lungo viaggio, complesso e difficile viaggio. Ebbene, qual è la prima cosa che occorre determinare prima di intraprendere un viaggio ? certamente il suo scopo: lo scopo della vita è strettamente legato alla felicità.
Lo scopo della vita è certamente quello di vivere nel migliore modo possibile ogni aspetto, ogni momento. L’uomo tende per natura verso il proprio migliore benessere possibile, sia materiale che spirituale. La buona salute è il più prezioso dei nostri beni, anzi è la condizione senza la quale l’edificio della felicità non può essere costruito. Sono ben noti gli adagi latini “mens sana in corpore sano (Giovenale) e “Non vivere sed valere vita est” (La vita non è vivere, ma star bene) (Marziale).
Negli ultimi anni, segnati dalla crisi, anche gli esperti di economia si occupano di felicita e si chiedono se la congiuntura può influire sulla felicità umana. La tesi di molti studiosi si può riassumere in questi termini: una volta raggiunti i beni essenziali e la soddisfazione dei bisogni di base, tutto ciò che si ottiene di più appare irrilevante per sentirsi più contenti e felici.
In questo contesto si impone la domanda: il denaro è determinante per conseguire la felicità ?
Molti purtroppo pensano che la felicità consiste nel possedere e spendere molto denaro. Ma ci sono molte cose che il denaro non può comprare: l’amicizia, la serenità, la buona salute, l’amore per il bello, il rispetto per la verità. La ricchezza (come la povertà) è un eccesso. Ogni eccesso genera ansia e non felicità. Già Aristotele affermava: “Più sei ricco e più hai bisogno di filosofia”. I ricchi non dominano il denaro ma ne sono dominati. La felicità non consiste nello spendere molto, cioè nella frenesia del consumismo. Questa idea di felicità pervade il mondo della pubblicità in cui ogni proposta viene prospettata come il raggiungimento di una vita felice conseguita facilmente spendendo e consumando. (l’amaro da bere dopo la tempesta).
Richard Easterlin, docente di economia presso l’Università della California, parla, appunto, de “Il paradosso della felicità”: l’aumento della ricchezza non produce effetti duraturi sul benessere delle persone. Più precisamente allorquando aumenta il reddito, la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, poi diminuisce gradualmente seguendo una curva ad U rovesciata <∩>.
Sulla base di queste considerazioni possiamo affermare che la felicità non può essere qualcosa che l’individuo decide di procurarsi strumentalmente col denaro, perché essa ha un fondamento sodale, altruistico e dinamico.
Aprendo un atlante si può desumere quanti individui, in molte parti del mondo, subiscono un destino che li condanna a non sperimentare mai la felicità.
La felicità sarà sempre, tra gli uomini, una condizione raggiungibile entrando in sintonia con gli altri. “Non si può essere felici da soli”.