Corsi e ricorsi storici
Nel corso della vita è forse capitato a molti di imbattersi in situazioni in cui, dopo un periodo di vita fuori, si torna nella casa genitoriale, per poi tendenzialmente riuscirne. E magari ciò anche in più di un’occasione. Mi è balenato questo pensiero come pietra di paragone della storia dei nazionalismi e degli indipendentismi. La storia è costellata difatti di situazioni in cui ciclicamente disparati popoli preferiscono o accomodarsi sotto l’ala protettrice dello Stato nazione che li ingloba o farsi essi stessi Stato nazione, dando vita a moti e istanze di indipendentismo.
Rimanendo nell’alveo del nostro continente, i casi che più velocemente vengono alla mente sono senz’altro quelli che hanno avuto la maggior carica di terrore e dunque l’indipendentismo irlandese e quello basco. Nel primo caso le bombe dell’Ira, che venate di cattolicesimo, rivendicavano per l’Irlanda del Nord la possibilità di staccarsi dal Regno Unito ed eventualmente congiungersi alla Repubblica d’Irlanda, rimbombavano in Downing Street a Londra, i cui governi risposero con episodi di feroce repressione. Nel secondo fu l’Eta a minare la serenità dei governi spagnoli, prima franchisti e poi democratici, facendo una scia di 800 morti in un quarantennio di lotta che finalizzava la richiesta separatista di una striscia di territorio a cavallo dei Pirenei, abitata da un popolo con tradizioni e cultura assai peculiari, sia rispetto agli ospitanti spagnoli che ai dirimpettai francesi.
Ma di situazioni bollenti ve ne sono anche di meno conosciute eppure intriganti. Basti pensare alla divisione antica presente in Belgio fra fiamminghi e valloni, a quanto succede nella disgregata Ucraina, al referendum per l’indipendenza della Scozia, vanificato per pochi punti percentuali, alle istanze catalane di sempre maggior indipendenza da Madrid, ai moti della Transnistria. In molti dei casi citati ad oggi non si assiste più ad atti di terrorismo smaccato, anzi vi sono state varie dichiarazioni di smarcamento dall’uso della violenza da parte dei leaders indipendentisti. Paradossalmente infatti il riemergere dei nazionalismi fra Stati nazione e la crisi economica che attanaglia l’Europa rendono meno appetibili le spinte nei confronti della costituzione di piccoli staterelli. E nei fatti la diplomazia è parsa pagare più delle bombe nel vedersi riconoscere forti dosi di autonomia governativa, anche se non è andata ovunque così ed anche se rimane piuttosto nebulosa la prospettiva di una vera confederazione europea che cessi le tendenze al “far da sé”.
L’opinione pubblica italiana, la quale rammenta come anche in casa propria abbia vissuto gli attentati degli autonomisti, in questo caso sudtirolesi, ignora in larga parte la storia di un’altra regione travagliata dal punto di vista dell’identità: la Corsica. Così come ignora che tale regione, sino al diciottesimo secolo, era sotto l’egida della Repubblica di Genova e dunque, a pieno diritto, di tradizione italica.
I corsi sono un fiero popolo isolano, un po’ come gli abitanti della Sardegna; già di per sé sarebbe sufficiente tale peculiarità geografica a spiegarne una certa ruvidità e chiusura, volendo attingere a piene mani nei luoghi comuni. In realtà nel caso specifico ciò va a sovrapporsi ad una loro non completa appartenenza ad uno Stato nazione, non più Italia e non oggi Francia.
Pertanto un sentimento non proprio benevolo verso chi li ha cooptati nei secoli permane. Con sfumature significative: un leggero fastidio verso gli italiani, con cui mantengono in comune le radici linguistiche, un deciso sentimento di indifferenza se non di odio verso i francesi, visti come lontani, arroganti e meri fruitori estivi delle bellezze selvagge della propria terra.
La distanza con Parigi dunque si è mantenuta inalterata nel corso di tre secoli sino a sfociare in aperta ostilità nel dopoguerra e dagli anni ’70, allorquando vari gruppi di abitanti dell’isola decisero di passare dalle parole ai fatti, allestendo organizzazione paramilitari ed effettuando un primo atto di terrorismo ad Aleria, nel 1975. Da allora una escalation, che si presume e si spera essersi esaurita con il “deponiamo le armi” del Fronte di liberazione corso (FLNC) dello scorso mese di giugno. Il che non cancellerà certo né i problemi che la popolazione lamenta, né le spinte separatiste. La lotta ai francesi in questi decenni si è intrecciata a doppio filo con la lotta alle speculazioni edilizie, al deturpamento del paesaggio e dell’ambiente. E’ sempre stato su questo campo che si è giocata la conflittualità con i ceti benestanti delle metropoli di Francia, desiderosi di ritagliarsi una fetta di natura incontaminata corsa, a loro uso e consumo. Ed i corsi in questo si sono sentiti violentati e non almeno risarciti equamente dal potere centrale francese. Da qui a chiedere l’indipendenza il passo è sempre stato breve.
La summa del pensiero degli abitanti dell’isola potrebbe suonare così: “le nostre risorse naturali vadano a disposizione dei corsi, visto che lo Stato nazione ci abbandona anche dal punto di vista del trasferimento di risorse economiche e finanziarie o della costruzione di infrastrutture o della creazione di posti di lavoro”. Questo sentimento ha attraversato tutta la esigua popolazione (800.000 persone, circa gli abitanti di una piccola metropoli europea) con toni più o meno accesi, che sono sfociati nella presa di distanza fra gli autonomisti moderati, pronti a patti con Parigi e gli indipendentisti che strizzavano l’occhio ai bombaroli ma anche alle varie mafie locali. Questa spaccatura ha contribuito a non ottenere mirabolanti risultati né dal punto di vista del riconoscimento di maggiori poteri locali, né dal punto di vista del guadagnarsi la propria entità/identità nazionale. Oggi ad Ajaccio e Bastia e nelle località turistiche si respira un vento internazionale, come in qualsiasi altra realtà urbana d’Europa, ma nelle pieghe della marginalità sociale delle città e dell’asprezza atavica degli abitanti dei borghi montani interni la riscossa della voglia di far da soli è ancora ben radicata.
La storia di tali sentimenti dicotomici fra casa e dehors naviga sulle onde dei corsi e ricorsi storici. In Europa al momento vi sono le condizioni favorevoli alle spinte disgregatrici. Attenzione quindi a non soffiare troppo forte sui tanti fuochi che covano ancora sotto le ceneri. Ma attenzione anche a non liquidare le istanze della periferia come fastidiosi intralci alla gestione del potere che avviene nei palazzi della manciata di metropoli europee dove alloggiano i poteri forti. Chissà che spinte indipendentiste e spinte di rovesciamento del sistema non facciano un domani fronte comune, come cerca di dire, qui in Italia peraltro maldestramente, l’ex comico genovese Grillo. Ammesso e non concesso che i due fronti capiscano insieme quali siano i veri nemici, aldilà della loro nazionalità. Cosa che non accadrà di certo sin tanto che uno dei due fronti, quello indipendentista, è innervato da personaggi come i lepenisti, i leghisti nostrani o gli pseudo-nazisti dei partiti di destra (radicale o conservatrice che sia) del Nord e dell’Est Europa.
Il clima a volte rovente delle rivolte autonomiste non fa che il solletico al clima meteorologico che l’estate in corso ha predisposto per le nazioni del centro e sud Europa. Era da qualche anno che non si avevano settimane così calde all’insegna dell’anticiclone africano. Temperature record, che sia nella prima metà del mese di giugno ma poi soprattutto per tutto il mese appena trascorso, hanno investito varie nazioni: dalla Francia alla bassa Polonia e in tutto il bacino mediterraneo.
E il trend potrebbe proseguire a lungo. Senza dubbio nella prima decade agostana, dopo un weekend di frescura e temporali, ma probabilmente per tutto il mese, salvo una rottura a cavallo di Ferragosto sulle regioni settentrionali. Caldo, sole e un poco di afa, specie nelle valli e lungo i litorali. Dalla disposizione dei massimi di pressione, che potrebbero stazionare uno sulla penisola iberica ed uno sulle pianure germaniche, con anche una tendenza al rinsaldamento fra anticiclone azzorriano e anticiclone africano, sono probabili nuovi picchi di temperatura, inizialmente al Sud ma dal 5-6 anche nelle rimanenti regioni, in particolare Toscana, Lazio, Sardegna e Pianura padana. Proprio le regioni joniche meridionali potrebbero invece rimanere nella seconda settimana di agosto un po’ ai margini del gran caldo, a causa di una goccia fredda (relativamente al periodo) stazionante sui Balcani. Rari temporali si avranno solo nelle zone di confine ed appunto sui monti del Molise o della Lucania. E’ l’estate signori miei. E come in tutti i corsi e ricorsi storici, ciclicamente ne arriva una di fattura pregiata come l’attuale. Se dopo Ferragosto le previste incursioni dall’Atlantico anziché sfiorare solo il nord-ovest riusciranno a penetrare nel Mediterraneo, si avrà il classico break di mezza-fine estate ma personalmente, in sintonia più con il modello americano che con quello europeo, non ritengo ci libereremo in fretta di un quadro stabile e caldo.