Testa o croce?
Un paio di anni fa una creatrice statunitense di torte nuziali ha pensato bene di regalarsi per il suo matrimonio una trovata piuttosto originale. Ha infatti deciso di concludere la sarabanda culinaria dei festeggiamenti con un ardita decorazione zuccherina sulla propria torta: in luogo dei triti bouquet di fiori o villette di campagna o angioletti vari ha incastonato una riproduzione fedele delle teste mozzate, sua e del novello marito, con la scritta “finchè morte non ci separi”. Il macabro aneddoto reperito in rete mi ha fatto pensare che la decapitazione in effetti rappresenta quasi trionfalmente la cesura che l’evento fatale reca allo scorrere della vita. Un corpo inerme ucciso da pallottole o pugnalate o lapidazione non crea certo la stessa tensione drammatica di un corpo decomposto, ove la testa, sede del cervello e dunque della ratio, rimane accasciata a lato della fisicità espressa da quel corpo che per anni è stato governato proprio da tale capoccia.
L’efferatezza di tale atto, così netto appunto e crudele, è ritornata in auge recentemente grazie agli eccessi delle scorribande degli affiliati all’Isis, che hanno inscenato il medesimo finale persino per l’universo femminile. Dopo avere ricamato sul decolleté di tre povere guerrigliere curde lo scorso anno, è notizia di oggi l’uccisione, a mezzo decapitazione, per presunti reati di stregoneria, di altre due donne in Siria. Probabilmente tale escalation va ricercata nell’assuefazione agli orrori da parte dell’opinione pubblica, dal momento in cui questi sono diventati fatto mediatico e di massa.
Come colpire l’immaginario di coloro a cui è rivolto il messaggio che sublima l’omicidio stesso o la strage compiuta? Accennavo prima a come altri tipi di ferimento mortale possano ingannare sulla natura della inanità di quel corpo, rimanendo nascosti in esso; così pure una dilaniazione delle membra, a seguito dell’esplosione di una bomba o dello spezzatino che fanno talora alcuni serial killer, lascia brandelli visivamente inafferrabili rispetto all’immagine limpida della testa staccata dal stcollo. Ecco forse perché chi cerca l’effetto “impatto visivo” si diletta in tali sgozzamenti. Ma potrebbe anche trattarsi di semplice amoralità e disumanità. Alla stregua di tutte le altre esecuzioni capitali messe in scena dalle tante violenze della storia. Non diversamente ad esempio dalle atroci sofferenze che per secoli ha comportato la crocifissione di cristiana memoria. Insomma testa o croce sempre morte atroce. E mi cadesse la testa se la rima è stata volontaria.
Qualunque siano le eventuali motivazioni la storia è costellata da decapitazioni, a partire da quelle di San Giovanni Battista e di San Paolo apostolo, nel primo secolo dopo Cristo. Prima ancora era un metodo già usato dagli Egizi e che venne ripreso dai Romani. In epoca imperiale la decapitazione era riservata alla cittadinanza, quindi a chi godeva di uno status privilegiato. Tutto sommato, con l’eccezione della Cina dove risultava ostile al concetto dell’integrità del corpo defunto, nel resto del mondo si è sempre intesa essere un sistema rapido ed “onorevole” di inflizione della morte. Ancora per tutto il Medioevo veniva riservata ai ceti aristocratici, mentre la plebaglia veniva uccisa in modalità all’epoca più infamanti.
Ad essa si associano poi momenti alti e drammatici della storia europea che in qualche modo ne rafforzano la parvenza di nobiltà interiore. Nell’Inghilterra seicentesca la decapitazione di Carlo I Stuart fu uno dei momenti clou della guerra civile. Ma è soprattutto la storia della Francia, dove la decapitazione si era affinata attraverso il marchingegno della ghigliottina, che accende i nostri principali ricordi in quanto associata alla Rivoluzione ed al cosiddetto regime del Terrore. Luigi XVI di Borbone e la moglie Maria Antonietta d’Asburgo sono forse i colli più importanti che siano mai stati tranciati dalla tagliente lama. Ma in quegli anni fra il 1792 e il 1795 fu tutto un rotolare di teste. E paradossalmente rimasero vittima di tale esecuzione anche i vari Danton, Marat e Robespierre che l’avevano elevata a metodo di consolidamento della Repubblica.
Un ulteriore distinguo da fare circa tale pratica è dunque piuttosto immediato. Allorquando la decapitazione avviene da vivi, non fosse altro che per la relativa velocità con cui si induce la morte, essa è, né più né meno, che un metodo di esecuzione, peraltro a tutt’oggi ancora legittimo in Arabia Saudita. Quando essa è praticata dopo l’uccisione funge molto più da rituale aberrante (ma anticamente, nelle tribù più retrive, aveva addirittura finalità propiziatorie delle messi).
Senza pensare a ciò che può accadere nelle guerre, quando simili scempi magari non filmati, come invece fanno a bella posta i guerriglieri dell’Isis, ugualmente si consumano fra brutture umane e giochi macabri, il mio personale immaginario risale invece ad un evento di cronaca dei primissimi anni ’90, quando la ‘ndrangheta calabrese a Taurianova mostrò il suo volto truce, nel corso di una faida, sgozzando un nemico e lanciandone poi in aria la testa e usandola come bersaglio di un carosello di fucilate, al centro della piazza principale del paese. In quel caso vi fu proprio il desiderio di catturare in modo eclatante l’attenzione della gente. E di enfatizzare il proprio potere decisionale sul destino di quel povero barbiere, sfregiandone il fine vita, con il taglio fra ciò che lo caratterizzava, lo rendeva riconoscibile come persona ed il corpo anonimo che deteneva.
Per quanto crudele come qualsiasi altro omicidio, possiamo ben ritenere che è piuttosto la sua virulenza visiva che ci rende inaccettabile e ripugnante la decapitazione. Nelle patrie galere della presunta democrazia statunitense, in molti Stati, ancora oggi si infligge la cosiddetta dolce morte, attraverso iniezioni letali. Ne leggiamo trafiletti sui giornali e ci indigniamo poco o nulla. E’ normale che sia così e non ne faccio un parallelismo con le teste mozzate. Ribadisco un vecchio concetto: in una società evoluta che qualcuno si arroghi il diritto per legge di dare la morte ad un essere umano è altrettanto bieco quanto ammazzare per un presunto, per quanto folle, ideale di conflitto. Cambia solo l’impatto emozionale che tale sentenza di morte ha sulla opinione pubblica.
La speranza è che la società tutta sappia tenere la testa sulle spalle e non si lasci travolgere dall’aumento esponenziale delle violenze, le quali paiono fomentate, qua e là, proprio da coloro che qualche tocco di lama al collo dovrebbero sentirlo una volta nella vita.
Chi non teme di vedersi mozzare la testa a breve è invece l’anticiclone subsahariano che da qualche giorno è tornato a visitare prepotentemente l’Europa ed il Mediterraneo occidentale per poi nei prossimi giorni abbracciare quasi tutto il continente. Si tratta della classica bolla di aria calda e stabile di matrice nordafricana che già si era affacciata nella prima metà di giugno. Ora che siamo nel pieno dell’estate la differenza sarà che oltre al soleggiamento faranno la parte del leone le temperature massime. Già nell’ultimo giorno del mese di giugno si sono raggiunti picchi considerevoli in Francia e Spagna: fra i 40° ed i 42° a Madrid, nella zona di Saragozza e in Navarra, stesse cifre per alcune aree dell’Aquitania e valori sopra i 35° su tutta la fascia costiera da Nantes a Bordeaux. Questo flusso di aria rovente è destinato nel corso della settimana a traslare leggermente più ad est e dunque a colpire in pieno lo stivale, facendo traguardare i primi 37°-38° in molte delle regioni tirreniche e in tutta la Valpadana. Insomma è luglio e l’estate si comporta da estate, facendoci dimenticare gli affanni piovosi degli ultimi due anni. Poi come sempre qualcuno si lamenterà degli affanni respiratori per il troppo caldo. In tal caso accendete il condizionatore, la tv o internet, e preparatevi a sentire in ogni telegiornale o foglio informativo la continua solfa di consumare solo tanta frutta e verdure e di uscire dopo le 19. Nel frattempo avrete fatto indigestione di teste mozzate e non ne avrete più voglia.
Sino al 10 quindi bel tempo e caldo ovunque con qualche piovasco di calore sparso su Alpi e Appennini. Oltre si passa alla stregoneria per avere certezze. Si potrebbe ipotizzare che dopo una decade così stabile vi sia una rottura dello schema barico complessivo, quasi per ragioni probabilistiche ma come alla roulette dopo tanti rossi può continuare ad uscire un numero rosso. Ritengo anzi più probabile una breve parentesi del caldo, qualche infiltrazione atlantica che potrebbe disturbare il weekend dell’11 e 12 ma una ripresa veloce di un quadro anticiclonico di stabilità duratura per tutto il mese.