Francesi sarkotizzati
Il ritorno del prode gollista nell’agone politico è stato abbastanza fulmineo. Raggiunto da avviso di garanzia per corruzione a luglio 2014, dopo due anni dalla sconfitta presidenziale contro Hollande, il pugnace ed effervescente marito della connazionale Carla Bruni già in autunno aveva riconquistato la leadership dell’Ump (Unione per un Movimento Popolare), il partito di centro-destra con cui aveva scalato l’Eliseo nel 2007, reggendo per un quinquennio la carica più alta della nazione.
Ripreso in mano il partito, è riuscito poi nell’impresa di compattare a sé le altre formazioni partitiche di quell’area (l’Udi e il Dvd) e soprattutto è riuscito a fare man bassa nei due turni delle elezioni dipartimentali appena conclusesi.
Dei 101 dipartimenti a disposizione il centro-destra se ne è aggiudicato fra i 65 e i 70, lasciando al fronte opposto delle sinistre solo 30-35 dipartimenti. E di fatto ribaltandone una abbondante trentina. Tutto ciò impedendo inoltre che per la prima volta si realizzasse la conquista di un dipartimento da parte del Front National di Marine Le Pen, che al secondo turno delle amministrative è rimasto oggettivamente all’asciutto, seppure potendo cantare vittoria per la crescita complessiva.
Sarkò come il nostro cavaliere meneghino di qualche stagione fa (o potrebbe accadere ancora?) risorge dalle ceneri e dalla melma delle accuse giudiziarie e torna in auge fra i concittadini transalpini. Si è sempre parlato di assuefazione del popolo italico alle vicende berlusconiane negli ultimi vent’anni, al punto di avere interiorizzato come normali le mille resurrezioni dell’artefice di quelle vicende. Quando qui la partita pare chiusa, ecco che scopriamo con un certo orrore che anche i francesi sono narcotizzati e in un rigurgito digestivo ripropongono leader l’ex condottiero della guerra a Gheddafi e dell’asse del rigore con la Merkel. Dunque qualcosa ci sfugge ed occorre un’analisi più approfondita.
Intanto Sarkozy non è Berlusconi per quanto qualche tratto in comune sia innegabile. Non lo è per vicende giudiziarie, statura mondiale (è inutile che sorridiate sull’altezza che invece non li distingue più di tanto), organizzazione e ideali del partito di riferimento, commistione fra interessi privati e affari pubblici (quanto meno non nella forma diretta del partito-azienda).
Inoltre ad oggi egli è ancora un aitante sessantenne che può ambire ad una lunga carriera politica e che ha anche una discreta energia per perseguire tale strada. Dunque al naso degli elettori francesi non esala tanfo di ammuffito o di anacronistico.
Ma soprattutto le ragioni della rivincita del centro-destra risiedono nella pochezza degli oppositori storici del Ps di Hollande che guida il paese da un triennio e nella peculiarità politica degli oppositori di oggi, quei frontisti nazionalisti ed antieuropei che hanno perso tutti i ballottaggi del secondo turno, non essendo capaci di arrivare da soli al 50% più uno e non potendo che avere contro quasi tutti gli elettori dei due partiti storici di destra e sinistra, che vedono, chi più chi meno, nelle loro posizioni uno spauracchio revisionista.
I francesi dunque hanno penalizzato l’incapacità socialista di produrre una politica alternativa a quella del rigore tedesco, stando che Hollande ha proseguito nell’alleanza di ferro con la cancelliera Merkel e con le istituzioni monetarie e bancarie europee, senza però volersi affidare del tutto ad una deriva fascistoide, sebbene molto annacquatasi di padre in figlia, e improntata ad una destrutturazione della Ue. Quindi hanno scelto il centro-destra.
Scendendo nel dettaglio della distribuzione del voto, quello che emerge dalla mappatura è la totale erosione delle maggioranze a guida socialista nei dipartimenti del nord del paese, storicamente orientati a sinistra e terra di antichi insediamenti industriali. Se si escludono il dipartimento di Finistere con il suo capoluogo portuale di Brest e quello di Rennes e Saint Malo (due dei quattro dipartimenti della Bretagna), la Loira Atlantica gravitante intorno alla città di Nantes, il territorio di Calais e Boulogne sur Mer che s’affaccia sul Canale della Manica, il dipartimento della Lorena con capoluogo Nancy e la zona ad est di Parigi con i sobborghi urbani “rossi” di Saint Denis, Bobigny e Creteil, il restante territorio del centro-nord della Francia è una marea blu e azzurra, colori delle destre francesi.
Il partito socialista e in taluni casi il Front de gauche hanno mantenuto invece la maggioranza in molti dei dipartimenti che si trovano invece nell’area sudoccidentale della nazione, oltre a quello dell’alta Provenza. E godono in generale di una salute leggermente migliore nei cantoni delle città più grandi.
Sarkozy è dunque riuscito al secondo turno a fare incetta di voti, sia quando ha giocato al ballottaggio con i candidati lepeniani, potendo contare sui voti della sinistra borghese e moderata, sia quando il raggruppamento di centro-destra si è confrontato con la sinistra, venendogli gioco facile la pesca anche nell’elettorato al primo turno lepeniano ma in specie sfruttando la delusione dell’elettorato di sinistra che alla seconda chiamata ha probabilmente risposto picche dopo essere andato già malvolentieri al primo turno ad assicurare l’appoggio tradizionale ai suoi riferimenti politici, a quella sinistra che, come accade in tutta Europa, non sa giocare più il suo ruolo, schiacciata com’è fra crisi economica ed abbraccio al sistema di mercato, fra blanda difesa della base e riformismo in salsa imprenditoriale.
Questi elettori che probabilmente sono poco entusiasti dell’unione europea e che temono sia i flussi migratori quanto le allucinazioni islamiste hanno disertato notevolmente le urne, rendendo quindi un po’ meno trionfalistica, in seconda lettura, la vittoria di Sarkò (ha votato complessivamente al primo turno solo la metà del paese ed al secondo turno in molti casi una quota del 30% dell’elettorato è stata sufficiente per assicurare il dipartimento al candidato vincente). La base tradizionale che vota la sinistra in Francia forse si è anche sentita presa in giro dalle roboanti dichiarazioni iniziali di Hollande circa la dura presa di posizione che il suo Stato avrebbe assunto in Europa per garantire riequilibrio della giustizia sociale e per allargare i cordoni della spesa pubblica. Il profilo basso tenuto sinora e il patto con quella Germania che però nella crisi se la cava molto più egregiamente della Francia, l’alto tasso di disoccupazione, il rating negativo sulla crescita, il ridimensionamento della grandeur francese, l’incapacità di intercettare la protesta delle periferie e degli immigrati di seconda e terza generazione sono tutti motivi di profonda delusione per la sinistra francese. Molti dei suoi elettori quindi sono rimasti a casa, rifiutando l’idea di votare Le Pen come antidoto al modello europeo e alle sue distorsioni, ma hanno così facilitato la vittoria di Sarkozy. Qualcuno poi ha persino accarezzato l’idea di affidarsi al centro-destra solamente come atto di svolta; moltissimi hanno dovuto al secondo turno appoggiare Ump e le altre destre per non consegnare il dipartimento nelle mani del Fn; qualcuno, forse tanti, ha anche fatto il salto della quaglia, passando con disinvoltura a votare il Fronte, essendo non troppo dissimile, dal punto di vista dell’estrazione sociale, la provenienza.
Insomma credo che Sarkozy abbia vinto per i suoi personali, innegabili, meriti di affabulatore e di uomo carismatico ma soprattutto per disfacimento oppure per impotenza dei due avversari politici. E potrà riproporsi agevolmente anche alle presidenziali future. Convince meno che i francesi abbiano sposato, con tale voto, una visione moderata dell’Europa ed una linea dettata dalla Germania, dalla Bce e dal Fondo Monetario. Anzi la storica propensione alla rivoluzione del popolo francese rende meno “democristiana” la vittoria del centro-destra.
L’avanzata del Fronte Nazionale, che non si legge nella mappatura del secondo turno ma che è stata in alcuni casi trionfale al primo, con la conquista di estesi e nuovi territori e la alta percentuale di voti presi nelle città del sud-est e del nord-est della Francia, l’astensionismo record e il mantenimento di una quota che sfiora il 7-8% per i partitini divisi della estrema sinistra, sono segni che non è epoca di pacificazione e nemmeno di narcosi.
Infine non va dimenticato che a questa tornata elettorale deve aggiungersi il voto di Lione ma soprattutto di Parigi, che numericamente fa la differenza in Francia e che ama assai meno dei suoi connazionali il centro-destra. Se la rondine delle elezioni dipartimentali fa primavera per il centro-destra francese si vedrà prossimamente.
Passando però alla consueta materia meteorologica che specie in primavera suscita ancor più interesse, e per restare in terra d’Oltralpe si possono delineare qui cinque diverse tipologie generali di clima: a) oceanico umido, che comprende le zone ad ovest della traiettoria Bordeaux – Rouen – Lilla, con estati fresche ed inverni non particolarmente freddi, se non sulle aree della Normandia, Piccardia e del Pas de Calais, ma assai ventosi e piovosi; b) intermedio, che pur risentendo di qualche influenza oceanica, vede già maggiori escursioni termiche fra inverno ed estate; in questo si inscrive anche il clima della regione parigina; c) semi-continentale, tipico delle regioni orientali, con inverni molto freddi e meno piovosi ed estati calde specie in Alsazia e Lorena; d) montuoso, proprio delle regioni a ridosso del Massiccio Centrale ed alpine e subalpine, che hanno abbondanti nevicate e temperature non elevate durante tutto l’anno; e) mediterraneo, lungo tutta la costa sud e l’ultimo tratto del Rodano, con inverni miti e estati torride, seppure mitigate dal mare. Chi volesse avere un metro di paragone può riferire tali cinque tipologie alle seguenti regioni italiche: rispettivamente, zone costiere di Toscana e Lazio, aree subappenniniche del centro Italia, pianura padana, zone alpine e prealpine, nonché Appennini; coste liguri e litorali meridionali peninsulari.
E tornando definitivamente in Italia finiamo con una veloce panoramica previsionale sulla prima metà del mese di aprile, periodo in cui ricadono le festività pasquali. Dopo una estenuante altalena modellistica fra conferma dell’anticiclone azzorriano, che sta regalando scampoli marzolini all’insegna dei venti occidentali e del caldo, persino sproporzionato alla stagione nelle pianure settentrionali, ed apertura di credito per un incisivo interessamento perturbato da nord-est, a partire proprio dal venerdì santo, con freddo e neve sulle adriatiche, ora il quadro pare delineato.
Si dovrebbe aprire un periodo sicuramente meno stabile e più oscillante fra bello e cattivo tempo, che dovrebbe proseguire per tutta la decade iniziale, con una situazione che vede lo stivale fare da spartiacque fra il caldo ad ovest e il freddo ad est. Maggiormente penalizzate dunque le regioni adriatiche. Sebbene la passata piovosa riguarderà un po’ tutta l’Italia fra sabato e domenica, con eccezione solo del nord-ovest, delle isole e dell’estremo sud. Pasquetta vedrà più sole eccetto in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata ed aree alpine di confine con Austria e Slovenia. Fra il 7 ed il 10 si potrebbe raggiungere l’apice del maltempo che continuerà a mortificare soprattutto i territori orientali e potrebbe anche acutizzarsi il freddo con le montagne appenniniche pronte a ricevere altri apporti nevosi a quote interessanti. Quindi dovrebbe riuscire a riproporsi specie al Nord e sul medio Tirreno una vasta area di alta pressione che riporterà il sole e la primavera. Un tempo tutto sommato ballerino come tipico di aprile, specialmente da quando gli incipit della bella stagione sono tornati ad essere caratterizzati più dalle spanciate ad est dell’anticiclone delle Azzorre che, come nei decenni scorsi dalle rimonte a nord dell’anticiclone subsahariano. Stagioni primaverili meno calde ed asciutte rispetto al periodo a cavallo del 2000 ma non solo, anche più fresche non appena l’anticiclone azzorriano si eleva verso le isole britanniche lasciando l’Europa centrale, quella balcanica ed il Mediterraneo orientale in balia delle discese di aria nord-atlantica.