Racconti da San Pietroburgo – Seconde impressioni
Mentre fuori la temperatura sfiora i -17°C e la luce comincia a calare, seduta in cucina, accantono i libri di scuola e ascolto una delle hit più ricorrenti di “Radio tutto andrà bene” la stazione che accompagna i miei pomeriggi di studio.
(Se siete curiosi eccone due http://youtu.be/LbLQm5taP0o e http://youtu.be/jt4ROSthM6U)
Sono ormai due settimane che abito in questo non poi così piccolo appartamento di due stanze più cucina e, in piena tradizione sovietica, bagno più toilette, a due passi dal centro e devo dire che dopo l’iniziale opera di repulisti, ho cominciato a sentirmi davvero a casa.
E dopo la gita all’IKEA ho finalmente anche un letto confortevole sul quale dormire.
Raggiungere il centro commerciale ha richiesto circa 45 minuti di viaggio: metropolitana prima e autobus dedicato dopo. Con grande sorpresa di Martin, il pulmino che tempo addietro era gratis oggi costa 16 rubli: sempre un’inezia, ma anche un chiaro segnale di crisi.
Scorgere il pilone in lontananza con l’insegna gialla e blu mi ha regalato per un secondo la sensazione di stare andando a lavorare e non vi nascondo che mi sono ritrovata a cercare i colleghi tra i visi dei commessi. Ma a parte le divise e i cartelloni, di affinità non ne ho trovate molte.
Sì, perché il negozio è a un solo piano, inserito in uno shopping center e incasinato come pochi. Non c’è una logica nell’esposizione dei prodotti, l’assortimento è parecchio diverso, ma soprattutto non esiste separazione tra Show-room e Mercato. Gli ambienti rispecchiano lo stile di vita locale: tutto in una stanza. Cucina, camera da letto, salotto devono entrare in 20, massimo 25 metri quadrati e questo è dovuto al fatto che molti Russi vivono in microscopici “studio” anziché in veri e propri appartamenti. Non esistono “vignette” “pedane” “hot spots” “T-wall” o se esistono sono nascosti parecchio bene e c’è solo una “Home”, che mi ha colpita perché presentava la stanza da bagno separata dal wc a dimostrazione che gli Svedesi rispettano in pieno la filosofia del “paese che vai…”.
Mi sono trovata a sghignazzare pensando all’embolo che sarebbe partito ai miei responsabili in vista di un eventuale “commercial review” (sarebbe partito anche a me e questa la dice tutta sullo stato pietoso in cui versava il negozio) e mi chiedo che tipo di parametri utilizzino qui. Evidentemente la standardizzazione del brand funziona solo a livello nazionale.
Uniche due note favorevoli sono il grande ristorante che offre anche tipicità russe e permette ai clienti di accedervi senza dover entrare anche nel negozio e i TAXI su prenotazione con tariffazione fissa a seconda delle zone in cui si abita: una gentile signorina al banchetto dopo le casse chiama il taxi per te, dà al tassista il tuo indirizzo e tu devi solo pagare, sederti ed aspettare che arrivi la vettura. Durante il viaggio di rientro sentivo Martin chiacchierare con l’autista e chiedergli se si limitavano alla collaborazione con IKEA o se erano TAXI regolari e, da quanto ho capito (perché ovviamente parlavano russo) principalmente si occupano di questo tragitto, ma lavorano anche altrove.
Per me è risultato un servizio estremamente conveniente: 800 rubli (10 euro e briscola) per evitarmi l’enorme fatica di trascinarmi materasso e suppellettili per 2700 interminabili secondi e 2 mezzi di trasporto è stato davvero un affare. Ma giustamente qui non lo è poi così tanto in quanto rappresenta anche un giorno di paga per il lavoratore medio.
Perché per quanto la città sia ancora relativamente ricca, si sente l’arrivo di tempi duri.
Il mio insegnante ha venduto il suo appartamento e si è trasferito in affitto per essere pronto ad andarsene nel caso la situazione economica peggiori e ha profetizzato la chiusura di diversi esercizi commerciali nei prossimi mesi. In cuor suo spera di non dover essere costretto ad emigrare e di poter acquistare un piccolo appartamentino sulla Fontananka per poter andare a lavorare a piedi e dove vivere con sua moglie, il cane e i due figli, ma aspetterà ancora qualche tempo prima di procedere. Da parte mia posso solo notare diversi cartelli “affittasi” su negozi ancora aperti, chiaro segnale di imminente cessazione di attività.
Ritornare alla scuola che mi aveva accolta due anni or sono è stato un déjà vu incredibile: lo stesso sorridente e dolce Aleksei (che mi ha riconosciuta e accolta con calore), Oleg lo spilungone, che oggi ha fatto il compleanno, la stessa insegnante dal viso dolce, lo stesso compagno di classe Svizzero Tedesco (Woody Allen, vi ricordate?) e, ovviamente, Stas, vera star della baracca, con il suo tono perentorio e le sue idee politicamente scorrette.
La prima settimana scherzavo con Valerija, mia provvisoria compagna di classe Slovena, su quanto mi terrorizzasse l’idea di restare da sola a lezione con lui, irruente prodotto di 20 anni di CCCP e 20 anni di Russia sempre pronto a sparare a zero su più o meno qualunque sistema politico/economico che non sia il suo, che si potrebbe riassumere con un milanesissimo “lavoro, guadagno (poco), pago, pretendo” amareggiato solo dalla consapevolezza che qui non funzionerà mai, vuoi per la corruzione, vuoi per quel simpaticone di Putin, vuoi perché “эта Рассия” (ma quest’ultima cosa non gliela dite, si infurierebbe).
Il regime è piuttosto severo e di scarse vedute, tanto che i manifestanti solidali a Charlie Hebdo, nel giorno in cui tutta l’Europa scendeva in piazza, unita per la libertà di pensiero, qui sono stati gentilmente arrestati. Il mio coinquilino mi diceva che non ci si può aggregare in gruppi superiori a 3 persone, laddove si abbiano cartelli, e che nel caso accada, bisogna stare lontani gli uni dagli altri di diversi metri.
Stanislav sostiene che la Russia sia pericolosa solo per i suoi abitanti e, tra il serio e il faceto, spiega che per questo la Crimea è un luogo rischioso: il governo Russo dice che sono Russi e quindi ecco spiegato il loro essere in pericolo! Da parte sua, mezzo sangue Ucraino, è solo tutto di una tristezza infinita.
Personalmente ho trovato esemplificativo dello spirito battagliero dei Russi, nonostante le avversità, il fatto che esistano ben 4 verbi diversi per esprimere il concetto di “provare”. Per chi non abbia dimestichezza con la lingua Russa, sappiate che ad ogni verbo in un’altra lingua, italiano per esempio, corrispondono 2 verbi in Russo la cui differenza è più o meno marcata riguardo la coniugazione ed il cui utilizzo è legato alle variazioni dei tempi verbali e alle sfumature di espressione. Questo rende in effetti ben 8 i modi diversi di “tentare” in questo caparbio paese.
Il mio cervello subisce notevolissime escursioni termiche causate dal surriscaldamento nelle 4 ore di lezione mattutine ed alla successiva ibernazione nei 20 minuti di cammino verso casa (che diventano 30/35 quando i marciapiedi sono impraticabili).
Di San Pietroburgo, ad oggi, ho visto solo i selciati: quando nevica è l’unica maniera per limitare l’effetto Bambi e ritrovarsi a gambe all’aria e quando non nevica è l’unica posizione della testa che una sciarpa e due cappucci consentono al collo di tenere. Perché appena i batuffolosi fiocchi gelidi smettono di scendere, la temperatura precipita e ogni strato di abbigliamento diventa fondamentale ed irrinunciabile per la sopravvivenza.
Per questo le mie attività extra scolastiche sono ridotte al minimo: procurarmi del cibo in uno degli innumerevoli supermercati aperti 24 ore su 24, schivare i cumuli di neve che crollano dai tetti (un’attività diffusissima consiste nel circoscrivere provvisoriamente pezzi di strada davanti ai palazzi per liberarne il tetto dalla neve, a scopo preventivo, ma non sempre gli interventi sono puntuali e talvolta si può solo incrociare le dita e sveltire i passi) e tapparmi in casa a studiare.
C’è anche da dire che la città l’avevo già esplorata in lungo e in largo due anni fa e che, per ora, non ho trovato nessuna compagnia che avesse da offrirmi qualcosa di più del mio morbidoso pigiama. Ma la settimana prossima arrivano un Turco e un Italiano: chissà che non riescano a strapparmi al mio attacco di любовь дома.
Vi abbraccio forte!