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Scritto da nel Numero 108 - 1 Aprile 2014, Politica | 0 commenti

Il sistema Calabria in frantumi

Il sistema Calabria in frantumi

Si sta polverizzando sotto i colpi della magistratura il sistema politico e dirigenziale in Calabria. Che la macchina burocratica calabrese fosse farraginosa e inefficiente era evidente. Che i bilanci degli enti pubblici più importanti fossero gravemente in deficit era risaputo. Che il sistema amministrativo fosse pervaso da clientelismi di diversa natura risultava facilmente intuibile. Ma in pochi si aspettavano che le storture del potere venissero alla ribalta all’improvviso e, grossomodo, nello stesso momento.

La condanna in primo grado a sei anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici (l’accusa aveva chiesto 5 anni) per i reati di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico del presidente della Regione Giuseppe Scopelliti  ha messo la parola fine al «modello Reggio», sbandierato dal (presto) ex governatore per esaltare la sua esperienza amministrativa nella città dello Stretto. Una gestione caratterizzata da azioni in grande stile e progetti roboanti, ma che ha lasciato Reggio Calabria senza acqua potabile in vari quartieri e, soprattutto, con un buco di bilancio enorme, che ha portato il più grande centro calabrese prima ad essere commissariato per infiltrazioni mafiose (facendo decadere la neonata giunta di Demetrio Arena, successore di Scopelliti, subito dopo «premiato» con la nomina ad assessore regionale) e poi ad essere sull’orlo del dissesto finanziario.

Nel merito, la vicenda processuale è naturalmente più articolata. Scopelliti figurava fra gli imputati in qualità di ex sindaco di Reggio per la gestione disinvolta dei conti pubblici del comune e l’autoliquidazione di una serie di «parcelle d’oro» da parte dell’allora dirigente del settore finanze dell’ente, Orsola Fallara, morta suicida nel dicembre 2010. Con questa sentenza, che sarà ovviamente impugnata in appello, si dovrebbe comunque chiudere un cerchio, anche se è aperta la via dell’espiazione per l’eccellente imputato: la candidatura alle prossime elezioni europee nelle fila del Nuovo Centro Destra, di cui Scopelliti è uno dei maggiori esponenti. L’ultima parola spetterà ad Angelino Alfano, che dovrà sciogliere le imbarazzanti riserve sulla questione in qualità non solo di segretario del freschissimo movimento politico, ma anche di Ministro dell’Interno.

Ma in regione c’è un filotto di scandali da fare invidia a tangentopoli. C’è infatti l’azzeramento della giunta di Catanzaro, travolta dalla pubblicazione di intercettazioni che hanno fatto emergere un sistema clientelare di gestione della cosa pubblica che lascia a bocca aperta. Dalle multe stralciate alle lottizzazioni più appetitose della città capoluogo, fino alle procedure di regolarizzazione burocratica di prostitute straniere in cambio di prestazioni sessuali. Il sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo (uomo della vecchia politica), si è per ora rifugiato nominando un esecutivo di tecnici, tanto in voga nell’Italia degli ultimi tempi. La città, pur non essendo sorpresa dalle vicende scoperchiate, è rimasta pur sempre attonita dalla perentorietà con la quale il marcio è venuto a galla.

Poi ci sono i guai delle Aziende Sanitarie Provinciali di Cosenza e Reggio. La prima ha conquistato la ribalta nazionale per aver scatenato, indirettamente, il caso di censura che ha coinvolto il quotidiano “L’Ora della Calabria”, non andato in stampa tra il 18 ed il 19 febbraio a causa di oscure pressioni mirate ad ostacolare la pubblicazione dell’edizione del giornale con in prima pagina la notizia dell’apertura dell’indagine a carico di Andrea Gentile, figlio di Pino Gentile, senatore ed ex sottosegretario ai trasporti (vedi edizione di Marzo 2014 dell’Arengo).

A questi casi giudiziari eclatanti bisogna aggiungere una realtà economico e sociale allo stremo. Diversi comuni grandi e piccoli rischiano di dover a breve dichiarare dissesto finanziario, con tutte le conseguenze (specie per i creditori ma per tutto il tessuto economico della regione) che ciò comporta.

Il sistema rifiuti, reggendosi solamente su qualche grande discarica ormai satura e con infime percentuali di raccolta differenziata (le più basse d’Italia), è in tilt. Periodicamente il territorio è invaso da una marea di immondizia mentre il frastornato governo regionale, in attesa di costruire adeguati impianti si smaltimento e trattamento, progetta di espatriare la mondezza a costi esorbitanti.

E’ triste ed emblematico che una regione con la metà degli abitanti di Roma sia sommersa dai rifiuti. Le responsabilità sono delle classi dirigenti – in parte, come abbiamo visto, del tutto inadeguate – ma anche del singolo cittadino: passivo e lamentoso, tendente ad assicurare il bene della sua cerchia famigliare ed amicale ma insensibile al benessere della collettività e del proprio territorio. Insomma, la classica figura esponente di quel «familismo amorale» coniato da Pasolini.

In tutto ciò la ‘ndrangheta sguazza, la cittadinanza sonnecchia. Non c’è fermento nella società calabrese. Non c’è desiderio di ribaltare il sistema. La popolazione non lo condivide ma non intende muovere un dito per cambiarlo. Manca un’opposizione politica in grado di proporre un progetto alternativo di riscatto per tutta la Calabria: anche qui il centrosinistra, il Partito democratico, ha perso un’occasione gigantesca per riproporsi come forza progressista di cambiamento al cospetto del centrodestra che si lecca sempre nuove e più grandi e clamorose ferite. Ancora una volta il Pd, negli ultimi anni opposizione quasi ovunque nelle città, province e regione calabresi, non ha approfittato del tempo a disposizione per stilare un programma chiaro avanzato da volti nuovi, ma si è perso nelle rigidità di un apparato ottuso e rancoroso.

Il sistema Calabria è in frantumi. L’opera purificatrice è frutto dell’azione minuziosa della magistratura e della caparbietà dei giornali: la stampa sta avendo un ruolo importantissimo nello smascherare il marciume del potere. Ora occorrerebbe una sana presa di coscienza da parte del popolo calabrese. Finora distratto, oltre che dal suo proverbiale lassismo, anche da quel filone sociale nostalgico rivendicativo che se da un lato ha il merito di fare luce sulle torbide vicende che hanno caratterizzato l’unità d’Italia, dall’altro rischia di favorire un’ulteriore deresponsabilizzazione del cittadino e della pessima classe dirigente degli ultimi sessanta anni.

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