Lode all’umano im-perfetto
Non è bello ciò che bello ma è bello ciò che piace, recita un antico proverbio per rimarcare la parte soggettiva dell’estetica. Infatti, questo proverbio non ha di certo tutti i torti, poiché ognuno di noi valuta, o dovrebbe valutare, non solo l’aspetto estetico, poiché la bellezza esteriore lascia il tempo che trova, ma anche e soprattutto l’aspetto interiore che si esterna nei modi di fare.
Al giorno d’oggi, siamo tutti molto affannati ad apparire perfetti agli occhi degli altri, soprattutto nell’estetica, tralasciando che questa non viene mai corroborata dal comportamento e l’occhio attento valuta molto questo aspetto e considera vani i tentativi di apparire quel che alla fine non si è.
I chirurghi estetici, soprattutto in questi ultimi anni, hanno avuto un grosso incremento economico, grazie alle varie mode che portano la gente ad assomigliare sempre di più ad i loro idoli giudicati “perfetti”, come è accaduto ad un ragazzo americano che ha speso 100 mila dollari, sottoponendosi a 40 interventi chirurgici, per somigliare a Justin Bieber; oppure a migliorare parti del corpo, soprattutto il naso ed il seno, per apparire più affascinanti.
La perfezione è identificata come un’ossessione, il perfezionista è colui che, senza ottimismo, non aspira a mete prestabilite ma è solo interessato a perdersi nell’affinare i dettagli, tante volte insignificanti. Come diceva Fitche, la perfezione non è essere perfetti ma tendere continuamente ad essa, perdendo di vista l’obiettivo finale per il quale si vorrebbe percorrere una strada senza errori. La perfezione, vista in questi termini, non dà alcuna possibilità di migliorarsi ma solo di appartenere sempre all’ultima ruota del carro, sperando che un giorno ci sia la possibilità di condurlo ma questa speranza rimane sempre remota, fino a quando il perfezionista non valuta, seriamente, che è solo dall’errore che si impara e pianificare la propria strada significa, anche, percorrerla con qualche ostacolo, che verrà superato con ottimismo e determinazione, senza abbattersi alla prima avversità, mai con la perfezione, che funge da paraocchi.
Nemmeno nei numeri esiste la perfezione, infatti gli antichi greci hanno dato letteralmente “i numeri” per identificare quale fosse quello perfetto. Platone diceva che fosse il numero 10, altri identificavano il numero 6, altri ancora il 7, ognuno con una sua logica ma nessuno con una concezione comune, poiché sempre di respiro soggettivo.
Il vocabolario di italiano identifica la parola perfezione come: “l’essere perfetto, privo di errori, mancanze, difetti”, quindi, in base a questa definizione, esiste una persona che possa avvalersi di questo termine?
La perfezione è stata e rimarrà sempre una chimera, in questo modo assume fascino, soltanto il pensiero, come affermava Joseph Conrad nel suo libro “Vittoria”, è il più grande nemico della perfezione. Pensare che anche qualche piccolo difetto può farci sembrare attraenti non è sbagliato, soprattutto se questo è un “difetto” estetico. Molti personaggi famosi hanno fatto la loro fortuna grazie a qualche piccolo “difetto di fabbrica”, che hanno saputo sapientemente esaltare con saggia autoironia, facendoli apparire al pubblico ancor più degni di ammirazione, oltre alle loro doti artistiche. Sta a noi, quindi, individuare e rimarcare le nostri doti più profonde, i nostri modi di fare positivi e sforzarci ogni giorno ad affinarli per renderli sempre più piacevoli. La perfezione, se proprio vogliamo individuarla, è solo e soltanto dentro di noi, noi possiamo e non dobbiamo trovarla al di fuori, ci appartiene fin dalla nascita.
Concludo quest’articolo con una frase dello scrittore portoghese Fernando Pessoa, tratta da “Il libro dell’inquietudine” che sintetizza perfettamente il mio pensiero: “Amiamo la perfezione, perché non la possiamo avere; la rifiuteremmo, se ce l’avessimo. Il perfetto è il disumano, perché l’umano è imperfetto”.