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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 106 - 1 Febbraio 2014 | 0 commenti

Il denaro

Il denaro

Il denaro non  è sempre esistito. Non esisteva negli antichi regni, non esisterebbe oggi in tante aree del Pianeta se non fosse stato imposto il dollaro che ha soppiantato secolari economie autosufficienti.

In queste realtà vigeva un’economia  cooperativistica e tranquilla: c’erano da temere solo le conseguenze della siccità o della grandine. Nelle società tribali, antiche e attuali, la produzione e la distribuzione dei beni materiali sono incorporate in relazioni sociali. Lacerate le strutture tribali, l’uomo si trova a doversi procacciare i mezzi di sussistenza da solo, senza poter contare sull’aiuto solidale del gruppo.

Non si tratta di immaginare il ritorno all’uomo delle caverne, né di erigere un monumento all’arretratezza. Però non possiamo continuare indefinitamente a lasciarci governare dal mercato; dobbiamo essere noi a governare il mercato. Se si arresta il consumo si ferma l’economia e se si ferma l’economia spunta il fantasma della recessione. Nell’attuale situazione di crisi e di consumismo sfrenato, sarebbe  opportuno riscoprire e recuperare alcuni aspetti di quella antica saggezza che rinvia  a valori fondamentali che riguardano l’essere umano  e il rispetto della natura perché  continui a fornirci  e a rigenerare risorse.

L’uso del denaro collegato al sistema bancario affonda le radici nel Medioevo. E’ un’invenzione dei Cavalieri Templari  fondato introno al 1120 da  Ugo di Payns, L’ordine, col passare del tempo, crescendo in potere e ricchezza  si inimicò il re di Francia Filippo il Bello che costrinse il Papa Clemente V a sopprimere l’Ordine nel 1307.

I Cavalieri Templari per gestire le loro enormi risorse finanziarie organizzarono nei loro Templi punti di raccolta di depositi e di prestito di denaro: appunto le banche. Con questo “sistema bancario” i Templari   assicuravano protezione alle ricchezze dei mercanti e dei regnanti.

L’eredità dei Templari sull’uso e l’abuso del denaro venne raccolta dai banchieri dell’”Italia dei Comuni” (Firenze  in particolare) che per tanto tempo hanno continuato a raccogliere i depositi bancari e prestare denaro applicando esosi  interessi passivi.

Ma il denaro, come si conosce e si  usa nell’era moderna , ha il suo incipit  con la Rivoluzione industriale. Da questo evento in poi si è fatta strada l’era del denaro virtuale. La Rivoluzione industriale sposta il centro di produzione dalla terra alla fabbrica, trasformando il produttore  in consumatore e il contadino in operaio/salariato.

Fino ad un  certa data le banconote sono state ancorate ad un valore aureo: presso le banche di emissione  venivano  depositati  lingotti d’oro equivalenti alla carta moneta messa in circolazione. Il 15 agosto 1971 il presidente americano Richard Nixon annunciò  che gli Stati Uniti  sospendevano, “sine die”, la convertibilità  del dollaro. Da quel giorno  tutte le monete vincolate al dollaro presero il volo incontrollato verso atmosfere rarefatte, lontane dalla realtà dei popoli e degli individui.

Oggi, abituati al condizionamento del denaro, appare naturale  considerarlo come un bene, un bene primario. Ma una cosa è un bene  che tale rimane  anche in tempo di crisi o di inflazione, altra cosa è una somma di denaro che segue regole convenzionali  stabilite di volta in volta non dagli individui, né dai popoli e  neppure dai governi, ma dai banchieri e dai magnati della finanza. Per  gli individui e per i popoli il denaro è sempre stato, e continua ad essere, un semplice strumento legato a  particolari situazioni contingenti.  Non un bene in sé,  ma solo  un mezzo  per acquistare  beni reali e servizi.

L’anomalia  della società contemporanea è, appunto, quella di considerare il denaro un valore in sé e non semplicemente uno strumento. Questa idealizzazione ha creato enormi problemi e paradossi: chi possiede denaro assume  valore ed è considerato  migliore di che non ne  possiede, a prescindere dal modo in cui esso viene lucrato. Chi diventa ricco assurge a persona di successo e di valore, è più intelligente di chi non ne ha: onestà, intelligenza e diligenza sono qualità che contano solo  a parità di denaro. Uno spacciatore di droga, appena alfabetizzato ma facoltoso, ha molto più “valore e potere” di uno scienziato, di un artista  o di un uomo di cultura. Le persone vengono misurate e valutate attraverso la quantità  del denaro che posseggono: solo chi ha è.

Il dominio del denaro nella vita sociale provoca una degradazione dell’ essere  in avere  e induce, progressivamente, un ulteriore svilimento dell’ avere  nell’apparire

E’ il paradosso dell’ avere che viene anteposto all’ essere  con tutte le conseguenze  analizzate da Erich Fromm nella sua opera più famosa (“Avere o essere?”,1977) .

Per procurarsi denaro, molto denaro, occorre essere più furbi degli altri, maestri in ogni tipo di speculazione. L’uomo, prigioniero di questa prassi, non pone mai dei limiti all’accumulo, “non scende mai di sella”. Il denaro per lui si configura sempre più come elemento esclusivo e incontrollabile, al di fuori del rispetto delle leggi.

Il denaro per molti diventa un’ossessione. Roger Henderson, ricercatore inglese nel campo dell’igiene mentale, ha coniato l’espressione “money sickness syndrome” (sindrome da ossessione per il denaro) per definire la sintomatologia psicofisica  delle persone per le quali il denaro è un vero e proprio tormento. Le emozioni vellicate dal denaro sono frenesia, eccitazione, esaltazione, angoscia.

S. Paolo nella Prima Lettera a Timoteo scrive: “L’amore dei soldi è la radice di tutti i mali. Alcuni hanno avuto un tale desiderio di possedere … che si sono tormentati da se stessi con molti mali” (1 Tm, 6,10).

Il principio fondamentale dell’accumulo è la mancanza di scrupoli perché è  il denaro che procura prestigio. In questo senso il denaro ha il solo obiettivo di produrre altro denaro,  di riprodurre se stesso. E’ il gioco cannibalico del denaro che avidamente compra e divora se stesso. In effetti il denaro non aumenta la ricchezza del mondo perché con esso si può acquistare solo ciò che c’è già.

L’attuale civiltà del denaro  viene di solito identificata come civiltà del benessere o “civiltà opulenta” (Galbrait, 1979). Il mito del Re Mida che trasforma in oro tutto ciò che  tocca mostra con grande efficacia l’equivoco fatale  dell’equiparare  l’abbondanza al benessere. Il singolare privilegio  del Re frigio si configura come  tremendo contrappasso  della massima ricchezza che diventa la peggiore miseria. Questo modello esemplare  si ripete ogniqualvolta  ci si preoccupa di acquisire denaro  solo per possederlo, congelandolo magari in titoli, fondi, immobili e altri generi intoccabili che non realizzano alcun incremento reale.  Davanti alla tomba di Polidoro, assassinato per l’oro che aveva, Enea esclama: “Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames” (a che cosa non costringi i cuori degli uomini, o maledetta fame dell’oro).

-Virgilio, Eneide ,3, 56 -

 

Bisogna parò chiarire che il denaro inteso come “mezzo per” non è cosa malvagia, ma a renderlo malvagio sono coloro che, attraverso il loro operare, finalizzano il denaro esclusivamente al successo, alla ricchezza fine a se stessa, al potere, all’accumulo ingiustificato.

Una lettura simbolica della parabola evangelica dei “talenti” (Matteo, 25) segnala l’importante vantaggio  di mettere a frutto i “talenti”. Nel racconto di Matteo i primi due servi lavorano su ciò che hanno ricevuto, si mettono in discussione, rischiano.  Il  terzo servo che nasconde il talento ricevuto è connotato dalla paura e dall’ignavia. Tra il tempo dell’affidamento dei talenti e il tempo del ritorno del padrone deve esserci un tempo di risposta e di impegno. Il comportamento censurato è quello di non mettersi in gioco, limitandosi pigramente a conservare la rendita.

Anche in una fiaba moderna è contenuta una censura analoga. Nel capolavoro di Collodi il burattino Pinocchio viene condannato dal giudice  perché ha  sepolto nel Campo dei Miracoli gli zecchini donati da Mangiafuoco. E’ appunto la censura  universale  verso coloro che lasciano sepolte le proprie “ricchezze”  senza dare adeguato  sviluppo e finalità solidali.

Il denaro è un simbolo e il simbolo è  un “aliquid pro aliquo”: un significante che rappresenta un significato (De Saussure)  e il significante è frutto di una convenzione. Proprio perché  simbolo il denaro ha una parvenza di realtà. Eppure  esso  costituisce spesso la maggiore spinta motivazionale di coloro che considerano il denaro è un <sine qua non> della società dei consumi.

Il simbolismo del denaro  racchiude  anche  esperienze di autoaffermazione dell’io e di impulso di dominio sull’altro. E’ strumento concreto per esercitare potere sugli altri. Molto spesso chi lucra denaro sperimenta pulsazioni e ambizioni di dominio e sopraffazione.

Vi sono testimonianze  che nelle società tribali, dove la moneta è ancora “pre-moneta”,  essa simbolizza potere-possesso. M. Douglas, esploratore  inglese, riferisce che tra gli indigeni  centroafricani  il possesso della “pre-moneta” locale (rafia, conchiglie, ecc.).  serve ad acquisire prestigio e rilevanza sociale. Il denaro nasce e prospera  nelle trame relazionali e si svuota in assenza di relazioni.

La frenesia di fare denaro  travalica l’ambito materiale per investire  quello morale e spirituale. Ciò avviene quando vengono  equiparati il “prezzo” e il “valore”. Il  prezzo di un uomo è   la tangente della corruzione, è il costo del riscatto. Ma il valore di un uomo è inestimabile  perché consiste  nella sua unicità di  persona, si esalta nel valore aggiunto della sua soggettività e spiritualità.

Per concludere si può dire che  denaro è nato come mezzo, ma per molti è diventato un fine; crediamo di usarlo, ma spesso ci usa; crediamo di possederlo e invece ci possiede.

E’ proprio difficile definire il denaro. Beh, il denaro fine a se stesso è solo un sacco vuoto.

Giovanni Papini, riprendendo un’espressione di Lutero, diceva che il “denaro è sterco del demonio”

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