“Quel giorno più non vi leggemmo avante”
Quando la vita comincia a succederti è difficile sedersi al computer e farne un sunto.
Il ghiaccio si è sciolto e la Mojika e la Neva scorrono libere, mentre il sole fa scoprire le gambe con la compicità del vento che ha finalmente cessato di sferzare e accarezza la pelle.
La città è in attesa del primo vero acquazzone, che lavi via le ultime tacce di uno degli inverni più lunghi degli anni passati.
E io ne cammino le strade, ne visito i musei, tra bebè sotto formalina, bambole fatte a mano, orologi da capogiro, pagnotte e dipinti unici, ne scopro i ristoranti vegetariani grazie alle premure di un ragazzo Inglese che si sente parecchio stupido quando gli dico che non mi importa se qualcuno mangia carne in mia presenza, ma che mi ringrazia per la settimana salutista che gli ho fatto passare, ne godo ogni centimetro, ogni palazzo fatiscente, ogni auto scassata, ogni nota di pianoforte che arriva dal conservatorio vicino alla nostra scuola, attraverso le finestre finalmente aperte.. Mi delizio ad ogni sorriso che suscito per le mie espressioni concentrate nel tentativo di cogliere i discorsi, mi immagino a conversare con Dolstoyeski seduta nel suo studio e porto un fiore sulla sua tomba. Mi arricchisco di ogni nuova amicizia, di ogni scorcio mozzafiato, di ogni stramba galleria d’arte nella quale mi sono rifugiata quando ancora nevicava copiosamente.. sembra passato un secolo, ma erano solo sette giorni fa’…
Inutile dire che non vorrei tornare ancora, che sento che finalmente il Russo sta cominciando a suonare familiare e che è troppo presto.
Percorrere i marciapiedi sui quali ‘anta anni fa’ anche mia nonna passeggiava mi ha completamente stregata e spero di poterlo fare ancora, un giorno non troppo lontano da questo.