Mare inquinato dalle razze
Le razze sono pesci a forma romboidale, con una lunga coda. A differenza degli altri pesci che vanno consumati freschissimi, la razza migliora con una leggera frollatura che ne intenerisce le carni. E’ ottima nella zuppa, a testimonianza che si presta alla commistione con gli altri. Insieme a tante altre specie ittiche, le razze affollano anche il mar Mediterraneo.
Ma razza significa anche etnia, popolazione caratterizzata da tratti comuni, sebbene tale valenza, riferita all’uomo, venga assunta solo a fine Ottocento, applicandosi in precedenza esclusivamente all’ambito zootecnico, contesto entro cui, c’è da augurarsi, che prima o poi ritorni ad abitare in via esclusiva.
Purtroppo, anche in tale seconda accezione, il cosiddetto Mare Nostrum dei latini comincia a diventare sempre più un contenitore di razze; di genti, appartenenti a diverse razze, che giacciono, prive di vita, in fondo agli abissi o sfracellate presso qualche meraviglioso scoglio delle vacanze estive di mezza Europa. Per gli italiani Lampedusa docet, in quanto le immagini che rimbalzano sui nostrani networks, quando si verifica una tragedia come quella dei giorni scorsi, ci fanno sobbalzare per una sera dalle poltrone. Ma in genere, dallo Stretto di Gibilterra, al Canale di Sicilia, al Mar Egeo e sino alle coste della Siria, si stima in via presuntiva che solo negli ultimi venticinque anni siano decedute quasi ventimila persone nel tentativo di affrontare su barconi fatiscenti il viaggio della speranza verso il lavoro, o la libertà, o semplicemente la propria ispirazione.
Un’intera cittadina di una qualsiasi provincia italiana che è stata inghiottita dall’acqua. Solo che a differenza di questa non brulica di vitalità e non è razzialmente omogenea ma ha “inquinato” i fondali col suo carico di morte in un paradossale affratellamento di stirpi, tribù, generazioni, tratti somatici, bagagli culturali. Le rotte marine che hanno come destinazione la Spagna, le nostre due isole maggiori, Creta, Cipro, etc., partono dai tanti porti delle nazioni africane che si affacciano sul Mediterraneo ma le razze umane che le percorrono sono centinaia, provenienti da tutti gli stati del continente nero. Hanno in comune la sofferenza e, per i più sfortunati, il tragico destino ma per il resto si diversificano, come è naturale che sia, per tantissimi aspetti, un po’ come accade alle specie ittiche, dove è possibile riscontrare mille forme, mille colori, mille comportamenti. Aldilà della massificazione della razza umana che si deve alla maggiore interazione, queste popolazioni conservano però le proprie specificità, proprio come capita ai pesci. E proprio come capita ai pesci, in base a tali specificità, prevalgono o soccombono ma comunque si integrano col tempo, arrivando ad una coabitazione.
Ecco ritengo che in modo sereno, senza voler eludere tutti i problemi che ci sono e ci saranno e che richiederanno saggezza per essere gestiti ed affrontati, i fenomeni delle migrazioni delle razze possano somigliare ai fenomeni migratori delle specie animali e in particolare, per rimanere in ambito marino, delle specie ittiche che stanno appunto mutando irreversibilmente.
Nel Mediterraneo dal punto di vista della popolazione ittica si sta registrando un cospicuo rimescolo di razze. E tale processo, sebbene non sia indice di salute ambientale e climatica, ha una sua intrinseca connotazione naturale: vale a dire che, a determinate condizioni, diventa un fenomeno normale che vi siano specie che tendono a scomparire a favore di altre che tendono a prevalere. Le determinate condizioni, ossia l’innalzamento della temperatura delle acque registratosi negli ultimi trenta anni, hanno “tropicalizzato” i bacini idrici che separano Europa e Africa, mutando la composizione della fauna marina che li abita.
Oggi, fianco a fianco con le razze e le altre specie autoctone, nuotano pesci palla, barracuda del Mar Rosso, ricciole atlantiche, voracissimi pesci serra e tantissime altre razze (nell’ordine di 85 specie, a fronte delle oltre 500 autoctone) che si introducono dallo Stretto di Gibilterra o dal canale di Suez, trovando un habitat climatico più gradevole, in quanto caldo quasi come quello di origine.
Quindi fattori esterni “inevitabili” quali il riscaldamento globale del pianeta, l’effetto serra, i cambiamenti climatici ed il conseguente indebolimento delle correnti marine fredde del Mediterraneo, in primis di quella che scende dal Golfo di Trieste lungo l’Adriatico, l’aumento dell’anidride carbonica anche nell’acqua oltre che nell’aria, lo sfruttamento a fini commerciali della pesca, stanno trasfigurando la popolazione ittica ed in genere la fauna marina mediterranea (mutano anche alghe e microplancton), portando ad un sempre più massiccio soppiantamento delle razze indigene in favore di quelle “immigrate”, spostando i territori di residenza delle prime che cercano di muovere sempre più verso nord, ossia verso le coste liguri o catalane, e persino estinguendo quelle che già abitavano lidi più freddi e che non hanno modo di spostarsi ulteriormente verso settentrione.
Inquadrato tramite questo ardito parallelismo, il fenomeno dell’immigrazione delle razze umane nel nostro territorio europeo sembra davvero un accadimento ineludibile e “fisiologico” ed i tentativi che ciclicamente fanno i governi europei di ergere degli argini sociali e culturali e/o degli sbarramenti fisici non possono che risultare vanamente ridicoli. Sarebbe come voler fermare le correnti marine di cui sopra. Se non si arrestano a monte le variabili che determinano i flussi c’è poco da innalzare dighe. E probabilmente una di queste variabili non ha nemmeno una soluzione possibile, se non in un lunghissimo periodo, e mi riferisco alle evoluzioni demografiche delle diverse popolazioni mondiali. Se i pesci tropicali si riproducessero in misura sempre estremamente maggiore rispetto alle razze autoctone, non potranno che venire a cercare nelle vastità dei nostri abissi lo spazio necessario per vivere; tanto meglio se lo trovano anche bello caldo e confortevole e tanto più sensato se si prova ad imbastire da subito una proficua convivenza, non solo per il benessere delle razze immigrate e per cancellare la vergogna di quegli affondamenti ma anche per la sopravvivenza delle razze indigene.
La tragedia di Lampedusa, seguita a breve distanza di giorni da un altro drammatico naufragio sulle coste di Malta, e i tanti barconi che continuano a scorazzare lungo il Mediterraneo in questi giorni, sono tutti indicatori anche della calma piatta, dal punto di vista climatico, dello stesso mare. Sono viaggi ovviamente favoriti dalla stabilità meteorologica e dall’assenza di vento assicurate dalla presenza di un anticiclone subtropicale davvero imponente che ha fatto schizzare verso l’alto, nell’ultima decade di ottobre, le temperature di mezza Europa.
Questa struttura resiste strenuamente alle incursioni provenienti dall’Atlantico, tanto che è stata capace di ergere un muro, all’altezza della Francia e Germania meridionali e dell’est balcanico persino a Saint Jude, come è stata ribattezzata la tempesta di vento che ha imperversato dalla Manica alla Scandinavia, causando anche una quindicina di vittime. E pare non essere doma nemmeno per novembre, sebbene sia ormai acclarato che un’incursione atlantica si spingerà sino sulle nostre regioni fra il 4 e il 6 del prossimo mese, comportando piogge e sensibile calo termico. Ma già dal 7 specie le regioni settentrionali e occidentali dovrebbero rivedere il sole e per ancora una decina di giorni una struttura anticiclonica, di stampo più azzorriano che subtropicale, dovrebbe riconquistare il nostro paese. In generale non vi saranno grandi scambi meridiani, perpetuandosi una circolazione dei venti zonale, da ovest verso est, a parte la già citata parentesi di maltempo. Senz’altro non si potranno continuare a registrare i picchi di caldo di fine ottobre, anche perché, come già intravisto qua e là, nelle pianure e nelle valli, con l’avanzare della stagione, foschie e nebbie dominano su qualsiasi altra variabile climatica e quindi, aldilà della stabilità o meno del tempo, garantiscono il giusto apporto novembrino di freddo, quello che serve per terminare il ciclo della vendemmia, per preparare la legna per l’inverno e per le tante altre attività agricole che vivono sull’equilibrio caldo-freddo, durante le diverse stagioni dell’anno. Buoni tortelli di zucca a tutti.