Vaso di ferro e vasi di coccio
Da bimbo i viaggi intercontinentali erano ancora roba da elites. Ricordo amici di famiglia che bazzicavano assiduamente Mosca negli anni ’70, a volte col figliolame, e mi ero persuaso si trattasse di una fortuna incommensurabile per dei “cinni” bolognesi poter vedere con i propri occhi cosa ci fosse aldilà del Muro ed in generale poter calpestare suoli così distanti dal mio estremo contrafforte a Nordest all’epoca visitato, ossia Venezia. Per il resto mi giungevano eco lontane dei racconti dei nonni che stentavano a inanellare correttamente tutti i vari compaesani partiti per le Americhe.
Mosso da tale fascinazione, mi sono riproposto già allora di sbarcare in Medio Oriente come primo approdo dei miei futuri viaggi extra-europei, in quanto dei tanti continenti lontani l’ho sempre sentito quello più prossimo e di maggior attrattiva. I lidi toccati si sono poi rivelati altri e quell’Oriente è rimasto a tutt’oggi mediamente lontano da me.
Non poteva invece essere mediaticamente lontano, in quanto i continui conflitti ivi esplosi rimbombavano nel tubo catodico delle vecchie televisioni degli anni ‘70 così come riempiono oggi i frames ed i video dei diversi sistemi comunicativi e canali di informazione.
Ed oggi come allora, l’orizzonte cognitivo circa che diamine succede da quelle parti è sempre piuttosto nebuloso. Chi è in guerra con chi? Perché se le danno di santa ragione? Perché non si impongono modelli vagamente più democratici, per quanto possa ormai risultare logoro tale termine anche alle nostre latitudini? Perché in genere le popolazioni sono tutte discretamente succubi di poteri forti ma si immolano alle presunte cause di quegli stessi poteri? Chi è il vaso di coccio e chi quello di ferro nell’area?
A volte con estrema sincerità verrebbe voglia di rispondere: e che ce ne frega? Si fottessero tutti, fazioni e controfazioni. In realtà, non fosse altro perché si è chiamati in causa come Occidente (intendendo con esso anche il blocco prima sovietico ora russo) o forse, rovesciando la medaglia, non fosse altro perché abbiamo molte cause (ed interessi) in ballo come Occidente, si finisce ciclicamente per inzupparci tutti e due gli scarponi militari nel fango, oddio… forse più nella sabbia visto la scarsa piovosità della zona. Quindi svariati interventi dei caschi blu dell’Onu in Libano, prima e seconda guerra del Golfo, destabilizzazione politica e finte rivoluzioni, false promesse e ceffoni veri ai palestinesi, alleanze prima con uno e poi con l’altro despota, a seconda delle convenienze, sino all’attuale crisi siriana. In tutto questo bailamme interventista dell’Occidente non si poteva certo rimanere indenni dal bombardamento mediatico di questi decenni. Che come tutti i bombardamenti, più che costruire convincimenti, distrugge quel poco che si era abbozzato nella mente. Quindi ne sappiamo diffusamente assai poco. Altra cosa sono gli analisti e gli studiosi di geopolitica e di equilibri di potere internazionali ma la gran parte della popolazione degli altri continenti cosa conosce davvero dei motivi che rendono l’area un catino di tizzoni bollenti? Sia chi ha appoggiato con convinzione gli interventi armati degli Usa e dell’Onu, sia i pacifisti che sfilavano nelle piazze europee in realtà quanto riescono a comprendere le varie ragioni degli uni e degli altri e quanto identificano chi manovra le file, volta per volta, del neonato conflitto?
Personalmente un filo logico che non è mai venuto meno è che nell’area un vaso di ferro inossidabile è costituito da Israele, in virtù del suo ruolo di quinta colonna degli interessi occidentali. Per ricostruire la realtà degli eventi sviluppatisi negli ultimi 30-40 anni quindi non si può transigere da questo dato di fatto. Così come non si può dimenticare l’uso strumentale della questione palestinese mai risolta definitivamente per la sola ragione che sennò non si potrebbe più usare. Così come è ineliminabile che i sultanati che aprono e chiudono i rubinetti del petrolio non avrebbero così tanto potere se non fossero in affari con i potentati ed i governi occidentali. Ed infine così come è palese che Iran, Iraq, Siria, Giordania e lo stesso Egitto siano stati a volte alleati preziosi dell’Occidente o della Russia, altre volte rappresentazione di demoni da estinguere, mentre d’altro canto Turchia, Arabia Saudita ed Israele siano stati sempre preservati nelle loro capacità di autogoverno, per dare una parvenza di normalità delle dinamiche sociali e politiche e per avere degli amici fidati in loco.
Come si evince dunque, partendo da alcuni capisaldi incontrovertibili, la nebulosità viene abbastanza a schiarirsi, quanto meno per ciò che riguarda il passato. Foschie maggiori si addensano invece circa un futuro prossimo nel quale, nello scacchiere internazionale, non sarà più l’Occidente l’unico mossiere.
Oggi non è dato sapere se il dietrofront, o comunque la presa di tempo, sull’intervento in Siria, per punire il presunto uso di armi chimiche sulla popolazione civile da parte di Assad, sia più frutto di un calcolo dell’amministrazione statunitense sull’impatto che avrebbe internamente una nuova guerra su una nazione ancora provata dai lutti dell’Iraq, oppure più frutto di una volontà di pacificazione del presidente Obama che, forse in un sussulto di coscienza per aver ricevuto un Nobel per la pace o forse sulla scia del limpido verbo del nuovo Papa (se continuasse così, sì che sarebbe meritevole di nobel), vuole davvero provare a dare una sterzata alle relazioni con il Medio Oriente e a dare un contributo per un risorgimento democratico meno fittizio di quello delle ultime Primavere arabe.
Il sospetto grosso che rende tutto molto frammentario e confuso è che appunto oggi in un mondo dominato dall’economia, dalla finanza e dai mercati, dove la politica comanda poco o nulla, anche a livello di scenari internazionali la forza di quest’ultima, ed in particolare di quella occidentale, alle prese con una crisi epocale, sia ridotta al lumicino ed incapace di imporre le sue scelte preordinate. Il sospetto grosso è che si lascino quei territori sempre più al loro destino, perché i veti incrociati fra i vecchi (Usa, Europa e Russia) ed i nuovi manovratori (Cina, India, Sudamerica ma anche gli stessi dominus dell’area, dal punto di vista demografico ed economico, ossia Iran e Turchia) non riescono nemmeno più a tessere quelle trame di controllo eterodiretto che assestavano comunque gli equilibri dell’area, anche se a discapito delle popolazioni morte ammazzate o ridotte alla fame.
Il sospetto grosso è però anche un altro….ossia che, tutto sommato, ciò non sia nemmeno un male, al cospetto di quanti danni sono stati fatti in passato. Se le popolazioni di quell’area si faranno abbindolare meno dai fanatismi religiosi e svilupperanno una propria identità di antico bacino di cultura mondiale, nonché nuovo serbatoio di ricchezza mondiale e vorranno cominciare a prendersi in mano i loro destini e le loro risorse, scardinando vecchie e nuove dinastie familiari, l’interventismo occidentale potrà andare definitivamente in soffitta. Ed il vaso di ferro israeliano, un po’ meno arrogante nella sua robustezza rispetto ai vasi di coccio che lo hanno sempre attorniato, forse potrà rilassarsi e viversi nuovi germogli di serenità.
Il clima guerrafondaio parrebbe dunque seguire la naturale fisiologia delle stagioni ed andare in direzione di un raffreddamento dunque. Il clima meteorologico invece è già pronto ai primi freddi? Non certo in Siria, dove pure esiste una breve stagione autunnale che è però ancora di là da venire.
Nella zona di Mediterraneo che ci riguarda invece ottobre accantona definitivamente la stagione estiva ed anche quest’anno ha già lasciato intravedere i segni del profondo cambiamento, con un Atlantico che parrebbe di nuovo in spolvero come nelle ultime 2-3 annate, e ci ha inviato proprio al suo abbrivio una prima perturbazione foriera di temporali di forte intensità.
In realtà le correnti perturbate da Ovest devono fare i conti con un sussulto dell’anticiclone africano cha ha ruggito a fine settembre e che sembra già da domani volersi nuovamente ergersi su tutta l’Europa centrale, relegando ad ovest (isole britanniche e penisola iberica) e ad est (territori balcanici ed ellenici) il brutto tempo. Non pare però una struttura barica forte come la precedente quella che darà vita al cosiddetto blocco ad omega sull’Europa centrale ed è presumibile che, non ricevendo più apporti di aria calda da sud, concentri la sua forza sulle pianure germaniche lasciando l’Italia un po’ più in balia di lacune bariche e quindi di variabilità e frescure. Sempre a causa di tale debolezza potrebbe arrivare una seconda perturbazione strutturata da ovest per il prossimo weekend. Ma comunque di vero e proprio freddo non se ne può ancora parlare. E senz’altro fino ad almeno la metà del mese di ottobre non caleranno da nord correnti di estrazione artica. Quindi sarà tempo di giacchette e maglioncini da tenere in mano all’occorrenza e sarà tempo di lunghe camminate nei boschi in cerca dell’unico fungo “atomico” in grado di dare gioia…quello porcino.