Chi ben comincia
Essere bloccati da una tormenta di neve all’aeroporto di Mosca è un inizio scoraggiante.
Nonostante ci venga offerto un coupon per un “soft drink” a titolo di scuse, che viene prontamente convertito nell’ennesimo caffè, la stanchezza si fa sentire e le borse sotto agli occhi mi fanno sperare che nessuno mi faccia problemi per questo eccesso di bagaglio.. infondo più che “a mano” è da considerasi “a viso”.
E mentre vago da un sedile all’altro per sgranchirmi un po’, penso all’inutile corsa che ho fatto per prendere in tempo la coincidenza per S. Pietroburgo: nonostante io avessi acquistato i biglietti insieme, infatti, nessuno mi aveva avvisata che dovessi passare
la dogana al Sheremetyevo, ritirare il mio zaino, attraversare 4 terminali, rifare il check-in e ripassare i controlli di sicurezza per prendere il volo interno per Leningrado.
O meglio, nessuno tranne la gentile hostess di terra al Marconi che mi aveva accennato qualcosa, assicurandomi avrei avuto una corsia preferenziale per snellirmi l’iter. Ma infondo mi aveva anche detto che Bologna-Mosca sarebbe stato un volo di sei ore…
Quindi, forse perché non ho visto il cartello giusto o forse perché l’indicazione “scorciatoia” non c’era affatto, eccomi a correre un po’alla cieca, zaini in spalla, verso quello che mi è stato indicato da una scorbutica signora alle informazioni, come il terminal D, dove avrei trovato il mio volo.
Perché correvo?
Perché ero atterrata con un’ora e mezzo di ritardo e delle tre ore che avrei avuto ne erano rimaste più poche.
Così, schizzo verso il primo banco della Aereoflot che vedo che porta l’indicazione “Check-in per tutte le destinazioni”.
Come lo so?
Beh, per esserne veramente, ma veramente sicura, ho aspettato che il cirillico si trasformasse in inglese e mi sono messa in fila.
Naturalmente era il banco sbagliato e quando l’impiegata mi chiede, in Russo, dove vado (o almeno credo, avrebbe anche potuto
stare dicendo “ma sei rincoglionita?” o “il mio gatto è a macchie blu e sono preoccupata, tu cosa faresti?”) io farfuglio St Petersburg e lei mi indica con annessa spiegazione assolutamente incomprensibile, un punto indefinito più alla mia sinistra (il che mi fa supporre la mia prima deduzione fosse esatta, o quanto meno la seconda, perché non credo mi stesse mandando a quel paese per la mia scarsa co partecipazione al dramma del suo felino insolitamente pezzato).
Bene, alla destra della signora si estendono almeno altri 20 banchi della Aereoflot e, ad intervalli regolari, vi è un dipendente.
Trafelata mi avvicino al primo. Altre indicazioni incomprensibili e cenno verso sinistra. Seguo il cenno. Altro banco, la scena si ripete… ed ho una folgorazione: è chiaro che nessuno mi stia rispondendo in inglese, io sto facendo domande in Russo! Perché è questo che si impara al principio dello studio di ogni lingua: le domande. Il casino sta che alla domanda “dove” le risposte sono molteplici e complesse e io non sono ancora in grado di capirle tutte…ok, ok, diciamo nessuna…
E quindi mentre Igor sciorina nella sua lingua madre che i check in per San Pietroburgo sono quelli dal numero 20 al numero 35 io ridacchio tra me e me, pensando al mio primo viaggio in Spagna e all’espressione divertita di mia sorella alle mie conversazioni in un “fluente Spagnolo” fatto solo di sorrisi, cenni d’assenso e totale ignoranza dell’argomento trattato.
Perché dunque ho capito cosa mi ha detto il bel biondino dagli occhi blu? Perché ho capitolato confessandogli di non aver
capito una mazza e pregandolo di ripetere tutto in inglese.
Così eccomi nella coda giusta, su quello che pensavo fosse il filo del rasoio e che si è invece trasformato in altre 4 eterne ore a fissare i fiocchi di neve che imbiancavano le piste.
Fortuna che c’era il wi-fi e la compagnia di Whatsupp.
E finalmente, alle 4 e 30 del mattino eccomi giunta alla meta, dove un claudicante autista mi attende con un cartello “Extra
Class” e una faccia da sonno che mi fa sentire un po’ colpevole (ma come glielo spiego che c’era la tormenta?) e mi porta a casa di Valentina, in una vettura che puzza talmente tanto di benzina che mi trovo a pregare non gli salti in mente di accendersi una sigaretta.
La mia ospite mi accoglie sorridendo, mi indica la mia stanza e il bagno, un paio di interruttori (tra i quali spero non ci sia quello di autodistruzione dell’appartamento, perché non ho ovviamente realizzato un singolo concetto di quelli espressi) e rapidamente se ne torna a letto,
Io faccio appena in tempo ad accorgermi che il mio giaciglio è troppo corto e sprofondo nel sonno.
Se volete sapere com’è la casa, la scuola e la città.. beh.. restate sintonizzati.
Vi abbraccio