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Scritto da nel Numero 100 - 1 Giugno 2013, Scienza | 0 commenti

La pelle nera

La pelle nera

Nell’immaginario collettivo italico la celebre canzone scritta nel 1967 da Nino Ferrer non si chiama “La pelle nera”, bensì come il ritornello che la innerva, ossia “Vorrei la pelle nera”, quasi a voler rafforzare la sostanza del testo che fa maledire all’autore la sua appartenenza alla razza bianca, di per sé non in grado di permettere il raggiungimento delle virtuosità canore delle grandi voci afroamericane. Ma negli anni della rivoluzione culturale, prima che sociale, un inno alla diversità razziale, se non per molti aspetti alla superiorità razziale, era probabilmente più condiviso di oggi, in quanto tale diversità era ai più sconosciuta. Nell’attuale epoca di regressione culturale, non tanto come cifra assoluta, perché affermare ciò sarebbe scorretto e fuorviante, quanto come indice tendenziale, è più facile esprimere disprezzo per uomini e donne di colore, sfruttarne la forza lavoro e la disperazione, dare fuoco alle loro abitazioni, costringerli alla ghettizzazione ed alla emarginazione, in quanto li si è conosciuti, li si è visti “invadere” i nostri centri urbani e crescere al proprio fianco, li si è ritrovati in competizione con noi, per un lavoro, per una casa, per un amore.

Insomma 40-50 anni fa si potevano persino mitizzare alcune caratteristiche peculiari della razza nera, essendo ormai lontani, sia il ricordo delle follie razziali di memoria nazifascista, che il ricordo delle prime apparizioni dei contingenti di colore dei “liberatori” yankee, e dunque si esaltavano l’indiscutibile superiorità musicale e canora, così come la prestanza atletica negli sports e magari persino la vigoria e le prestazioni sessuali, tanto per non farci mancare anche qualche luogo comune. Nell’Europa di inizio secolo invece le periferie di tutti i grandi centri urbani esplodono a causa di conflitti razziali che non si muovono più soltanto lungo l’asse neri vs bianchi ma che certamente riguardano anche e soprattutto tale antica frattura, corroborata dalle guerre religiose fra cristianità e islamismo, dalla crisi economica e dall’impoverimento generale delle masse. In tale quadro generale, che ad esempio vede anche il ritorno massiccio del fenomeno delle sette razziali, tipo Ku Klux Klan, negli Usa del presidente nero, l’Italia si distingue per la sua meschinità e mediocrità sempre un po’ più accentuata, proponendo un ex presidente del Consiglio che ironizza sull’abbronzatura di un suo omologo più potente oppure riproponendo ogni domenica ululati indecorosi verso i calciatori di colore.

Su quest’ultimo fenomeno però occorre forse fare un po’ di chiarezza, in quanto nella grancassa mediatica tutto si incardina sui fischi a Balotelli, distraendo la pubblica opinione dal focus delle problematiche cui si è accennato. I rigurgiti di razzismo risalgono ai primi anni ’90 e procedono in linea con un certo ritorno di fiamma dell’amor di patria, che pure in un paese lacerato come il nostro dal punto di vista dell’identità nazionale, non va, al momento, oltre l’imposizione dei moniti presidenziali all’apprendimento dell’inno; per fortuna aggiungo io. Ma ciò non accade per un senso civico internazionalista maggiore che in Francia o in Germania, quanto proprio per la natura costituente della nazione, nata come sappiamo cementando forzosamente regionalismi e campanilismi imprescindibili. Dunque il filo che tiene insieme il nazionalismo italico con il razzismo non ha neppure una matrice patriottica ma solo una bieca matrice difensiva del proprio orticello, che si è ben espressa tramite i deliri dei vari Borghezio leghisti e che oggi trova qualche semina feconda anche nelle prospettive programmatiche del nuovo movimento che ha fatto irruzione nello scenario politico attuale.

Il fastidio se non l’odio per chi ha la pelle nera non è misurabile certo attraverso il circo che attornia il gioco del calcio o i fischi a Balotelli e a Boateng. Per le stesse ragioni non si ricordano, negli anni in cui appunto già montava tale sentimento, fischi a Cerezo, ad Asprilla, a Vieira o a Eto’o, fra i tanti calciatori di colore che hanno calcato i palcoscenici sportivi negli ultimi vent’anni.

La verità è che dentro gli stadi corrono sinuose e muscolose gambe nere pagate a peso d’oro. Chiunque avesse la fortuna di guadagnare cinquecento o mille volte di più di un possessore di ugola assiepato sugli spalti non può, dal mio punto di vista, “quasi giuridicamente” lamentarsi di nulla che non si tramuti in violenza fisica. E’ un dazio minimo che si paga rispetto alla sproporzione contrattuale delle parti in causa e difficilmente a quei livelli (ben diverse e deleterie sono le discriminazioni nei campetti di periferie o delle serie minori) registreremo uno psicodramma in uno dei protagonisti colpiti, o se dovesse accadere, magari per ragioni di preferenza sessuale, dipenderebbe dalla sensibilità e fragilità del singolo, senza che il colore della pelle c’entri più nulla.

Il più delle volte i fischi e gli epiteti verso calciatori famosi (ed ecco perché il discorso prende altre strade quando in serie C viene fischiato un qualsiasi Boisfer o Cissè) non dipendono affatto dall’epidermide ma dal carattere, dalla testa di costoro. Nella loro presunta ottusità gli ultras posseggono comunque alcuni recettori essenziali capaci di cogliere l’identikit di base dei loro campioni, molto più di tanti soloni giornalisti. Se questo identikit risulta eccessivamente sbilanciato verso le variabili dell’arroganza, della presunzione, dell’ostentazione, a meno che i possessori non giochino per i propri colori ed in tal caso verranno, seppure ipocritamente, eletti a divinità, a prescindere dalle origini ghanesi anziché scandinave, essi verranno sommersi di improperi e “puniti” al più piccolo errore.

Il buon Mario nazionale pare essere stato modellato da un creativo apposta per rinfocolare tali istinti e per dare linfa a parolai e giornali sportivi. Fa tutto ciò che è possibile, fuori e dentro il campo, affinchè si possa esporre alla gogna delle curve avversarie. Gode ritengo anche di ottima stampa altrimenti non si capisce come ciò non venga stigmatizzato assai più dei fischi che riceve, visto che è persino imbarazzante il modo in cui palesa la sua incapacità di crescere e di aiutare alla crescita quei tanti ragazzini che l’hanno comunque elevato a modello. Commette falli che sarebbero considerati atroci se fatti da un Pasquale Bruno, gioca sporco con le difese, simula o ingigantisce falli subiti, si lamenta, spesso anche con i compagni, sfida per 90 minuti tutti, dai tifosi alla sestina arbitrale, oltre a rendersi ridicolo in quella ostentata non esultanza, come non fosse animato da passione ma da indolente rassegnazione al protagonismo. Andasse in miniera o in fabbrica a testare se si può così facilmente rallegrarsi e gioire del proprio sudore come in un rettangolo di gioco. Imparasse da Zanetti cosa significa la stima della gente che ancora con ostinazione cerca di divertirsi con questo calcio eccessivo e la smettesse di strumentalizzare la questione razziale bleffando con la canzone “Vorrei la pelle bianca”.

Pelle bianca, pelle nera e pelle abbronzata…ma per quest’ultima a che santo dovremo votarci, visto che di sole in giro per lo Stivale se ne è visto meno che di gocce d’acqua e persino di fiocchi di neve? Probabilmente ci toccherà aspettare Sant’Antonio da Padova che viene festeggiato il 13 giugno. O comunque per il sole ci sarà spazio già da subito, in quanto si sta rimarginando la profonda ferita che l’Artico ha imposto ad una fine primavera somigliante più ad un tardo autunno, ma per il caldo estivo bisognerà pazientare almeno una decina di gionri. Si sta strutturando infatti un anticiclone sulle isole britanniche e sulla Scandinavia che in una prima fase permetterà lo scivolamento di correnti fresche orientali ancora su gran parte del Mediterraneo ma a giorni l’anticiclone subtropicale dovrebbe avanzare verso nord andando ad agganciare il suddetto anticiclone, isolando una depressione al largo delle coste iberiche e configurando quindi una tipica struttura pressoria dell’estate mediterranea.

Del resto l’estate climatica, sebbene preceda quella astronomica, comincia comunque il primo giugno e non può quindi apparirci eccezionale un mese di maggio piovoso, così come non hanno nulla di inconsueto le nevicate sulle Alpi o sugli Appennini, che peraltro ci hanno regalato quello splendido fotogramma del ciclista Nibali, trionfatore alle Cime di Lavaredo, in mezzo ad una tormenta. Forse l’anomalia era più quella delle spiagge invase ogni weekend di maggio come spesso è accaduto negli anni ’90 e nella prima decade del nuovo secolo.

Occorre pazientare ancora un poco per la tintarella estrema, mentre per la prima settimana potremo invece goderci una primavera finalmente matura, fatta di colori ed odori che sono inimitabili. Le prime regioni a risentire positivamente oltre che dei cieli sereni anche di un primo assaggio di caldo dovrebbero comunque essere le regioni costiere tirreniche e le due isole maggiori, già dal 6-7 del mese e i loro abitanti possono riscaldare i motori per convergere verso le dune di sabbia, le pinete e gli scogli del loro mare, cantando a squarciagola “vorrei la pelle nera”.

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