100 di questi giorni, signor Q
S’era fatto quasi un ometto, quel giovanotto che diversi anni prima era salpato in giro per il mondo. Certo si è che dal pediatra non va più, e quando lo incontriamo, di nuovo, lo troviamo così seduto al bar, indeciso sul da farsi, il nostro caro Signor Q.
Quella mattina, in terra straniera, il signor Q non aveva fretta. Condizione ottimale per osservare i propri pensieri, tanto più che i giornali scritti in quei caratteri a lui sconosciuti non erano di grande compagnia. Lo erano sicuramente di più quel panino farcito e quella bevanda calda aromatizzata, che insieme al venticello fresco che lo accarezzava gentile rendevano il momento unico come tanti altri.
Non voleva porsi domande, il signor Q spesso pensieroso, e poteva giocare a lasciare i dubbi e i pensieri scorrergli intorno come la brezza e dentro come quella tazza d’acqua calda. Poteva sentirsi addosso, i numeri e le lettere, inesorabili uno dopo l’altro, in un connubio amoroso tra italiano e matematica che lo faceva sorridere mentre ripensava a quella dicotomia che fin dalle scuole elementari ci perseguita. La prima di una lunga serie di clusterizzazioni dell’esistenza, forse la ragione per cui aveva deciso di partire. Non capiva come e dove la libertà si potesse ritrovare dentro schemi ereditati senza beneficio d’inventario, perché mai non si potesse prendere la realtà e shakerarla come una scatola di lego da rimontare a piacimento. Forse perché, comunque la si fosse montata, sarebbe rimasta una scatola di lego, un gioco per bambini. Eccola, quella seconda separatezza tra la vita infantile e quella adulta, quella che non tollerava proprio: tra il desiderio di fare e la rinuncia a fare per non esserci ancora riusciti. Fu quella mattina che gli si chiarì nitida la scelta.
Tra quella vita infantile, spensierata dalla sua minorità, e quella adulta, sessualmente matura, stava l’agghiacciante groviglio di una mente eterodiretta con un corpo deterministicamente orientato, quello che i viaggiatori inquieti credono di poter fuggire misurando i percorsi delle distanze del mondo. Capì che il senso aveva cominciato a prenderlo per il verso giusto solo da quando era partito.
Eccola lì, la soluzione. Che buffo il linguaggio, quando ti suggerisce la parola inserendola in frasi diverse con significati diversi. Un sorriso leggero gli appariva sul volto, mentre la fretta di ripartire per ritornare lo faceva alzare dal tavolino, saldare il conto con la testa nuovamente invasa dalle preoccupazioni del mondo, allacciarsi le scarpe, mettere in spalla lo zaino e mettersi in cammino dopo una breve pipì. La soluzione non era niente di nuovo, e dire che l’aveva sempre vista in casa, dai racconti del nonno ai libri di scuola.
Il Partito.
Il signor Q era diventato grande.