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Scritto da nel Numero 99 - 1 Maggio 2013, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

Vinitaly 2013

Vinitaly 2013

La sveglia suona, fastidiosa come un pugno nello stomaco alle ore sei della domenica mattina. La voglia di rigirarsi nel letto è forte, tuttavia per vincere la pigrizia penso alla passeggiata che m’attende per Verona e all’atmosfera particolare che si respira in città durante i giorni del Vinitaly.

Penso alle migliaia di persone che si radunano da ogni parte del mondo, chi per comprare, chi per assaggiare e recensire, chi semplicemente per passare una giornata diversa all’insegna del gusto, e penso che in quei giorni il sapere e la passione enologica della tradizione veneta sembrano costruirsi una meritata finestra sull’universo variegato del vino, fatto di corsi e ricorsi storici, di mode, di amore e tradizione.

Come ogni anno, finisco in fondo per ringraziare la sveglia antelucana e mi presento in città con il primo treno del mattino. Concedendomi solo un paio di giorni nella città scaligera, la voglia di entrare all’apertura dei cancelli è forte, quasi come ad un concerto rock, tuttavia l’esperienza m’insegna che è meglio fare le cose con calma. Raggiungo il chiosco adiacenete al Veronafiere, e faccio gergalmente un pò “di fondo” con una panino ripieno di porchetta, scambiando nel frattempo qualche veloce battuta con gli avventori mattinieri.

All’apertura delle danze mi sono già fatto un programma di massima: la giornata si articolerà tra Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Campania, Lombardia per chiudere con i passiti siciliani, in cerca di conferme, ma soprattutto di qualche piacevole sorpresa.

Emilia Romagna, padiglione uno, gestito come sempre dall’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna, offre un buon ventaglio di scelte su come questa regione, la mia regione, stia finalmente riguadagnando posizioni.

Mi concentro sui vitigni autoctoni, e tra tutti mi piace segnalare l’Albana del Monticino Rosso, con lieve attacco di muffa nobile, il Barbarossa della Fattoria Paradiso e il Sangiovese Riserva di Nicolucci Casetto dei Mandorli.

Mi sposto nel Veneto, un po’ per fare gli onori di casa, un po’ perchè l’Amarone resta il mio vino preferito. Salto quindi i convenevoli e gli step intermedi, e mi butto anima e corpo su questo vino “nato per sbaglio” (Dio gliene renda merito di questo sbaglio), facendo una bella carrellata di Amaroni. Tutti eccezionali, ma si tratta di un infanticidio: meriterebbero di essere bevuti tra 4-5 anni. Un produttore sentendo i miei commenti, piccato sull’orgoglio mi propone un bella verticale: Valpolicella, Ripasso, Amarone, Recioto. Sublime. Grazie cantine Recchia.

Dopo un tour nell’affolattisimo padiglione toscano, scendiamo la penisola per approdare in Campania.

“Tiriamo il fiato” con un po’ di Falanghina e Greco di Tufo, prima d’immergerci in uno dei più grandi rossi del sud: il Taurasi. Due nomi su tutti: Feudi di San Gregorio e Il Cancellerie.

Alla fine, per assecondare un amico fissato con le bollicine decido di pulirmi la bocca con dei metodi classici della Franciacorta: inebriato dalla bollicine di colossi come Bellavista e Ca’ del Bosco e da realtà interessanti come Gatti e Mosnel nonstante il mio amore incondizionato per i rossi mi ricredo; tanto non gli darò mai la soddisfazione di dirglielo.

Alla fine, ormai stremati compiamo una virata su Vivit, il salone del vino naturale e concludiamo la giornata in bellezza col Sweet Clair di Lieselehof.

Gaudenti e provati guardiamo le lancette dell’orologio, che impietose segnano le ore sedici e ventisette minuti. Come ogni anno il tasso alcolemico si attesta su livelli importanti, e la passeggiata defaticante per la citta scaligera diventa un esercizio necessario prima della scelta del ristorante.

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