L’Islanda vuole dimenticare la crisi… e torna a destra
L’Islanda, stremata da anni di austerità, sceglie la Destra per allontanarsi dall’Europa e dal rigido rigore portato avanti dal Governo di Centrosinistra, alla guida dell’isola negli ultimi 4 anni. L’elettorato ha premiato il Partito dell’Indipendenza (19 deputati) di Bjarni Benediktsson che troverà probabilmente nel Partito del Progresso (Centro – 19 deputati) l’alleato necessario per garantire una maggioranza nell’Althing, il parlamento unicamerale.
Gli sconfitti sono l’Alleanza dei Socialdemocratici (9 seggi) e il Movimento di Sinistra Verde (7) che nel 2009 si sono ritrovati nella difficile condizione di guidare il paese in seguito al fallimento delle grandi banche. Entrano in Parlamento anche gli europeisti di Avvenire Radioso (6) e, per la prima volta, il Partito dei Pirati (3).
L’Islanda, nonostante la sua genuina semplicità, è un paese complesso, fatto di contrasti. Così come i lunghi giorni d’estate e le altrettanto lunghe notti d’inverno si alternano condizionando drasticamente le stagioni e gli umori degli abitanti, la tranquillità di una grande isola disabitata invasa da ghiacci e vulcani si contrappone ad atmosfere inquietanti, come quelle narrate nei gialli di Arnaldur Indridasson, con torbide storie di droga, violenze familiari e paura.
E proprio la gravissima crisi finanziaria (3 banche private fallite e poi nazionalizzate) e conseguente recessione, ha fatto conoscere agli Islandesi la paura e l’incertezza che si sono manifestatate in un anti europeismo spinto: tagliare il cordone ombelicale dal continente per portare avanti in autonomia le proprie politiche economiche e commerciali. Paradossale che gli elettori ripongano la propria fiducia proprio nei partiti artefici di quelle pratiche economiche che hanno portato al black out bancario del 2008.
Dopo la crisi il paese è riuscito lentamente a riprendersi, anche grazie all’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, ma risulta ancora debole e spossato: moltissimi islandesi faticano ancora a pagare i propri mutui, la disoccupazione tra il 5 e il 6 percento è bassa ma comunque moltiplicata rispetto ai livelli pre-crisi. Il Centrodestra ha fatto leva proprio sui punti sensibili: taglio delle tasse e misure per il ridimensionamento del peso dei mutui, con l’aiuto dei fondi speculativi stranieri.
L’Islanda non è quindi ancora risorta. Per rifinanziare le banche il Paese si è indebitato con l’estero e le tasse sono state aumentate.
Il vero problema consiste nel non ripetere gli errori che hanno causato la crisi. Per questo la Presidente uscente Johanna Sigurdardottir aveva promosso durante il proprio mandato la revisione della Costituzione – col coinvolgimento diretto dei cittadini – mettendo in discussione proprio l’affidabilità delle istituzioni e del sistema politico islandese.
Oggi, con nuove prospettive e fiducia, si torna verso una nuova vita economica e finanziaria che pare, però, non essere poi tanto diversa da quella passata.