Il Novecento a Forlì
Chi scrive ha ben presente il recente apologo di Benigni a proposito delle cose buone fatte dal fascismo: l’idraulico che viene in casa, fa un impianto perfetto poi violenta la figlia, bastona il vecchietto, avvelena il cane ecc. e alle obiezioni su quello che sta facendo risponde: “Però l’impianto idraulico è perfetto”.
Tuttavia mi da fastidio con questo argomento cancellare venti anni di vita italiana nella quale comunque molto è stato costruito (anche se poi distrutto dalle scelte scellerate conclusive) con un consenso popolare che trovo scorretto storicamente minimizzare (anche se il sottoscritto, col suo spirito, a quei tempi sarebbe finito direttamente alla Capraia imbottito di olio di ricino).
Quanti oggi massacrando il paese con le loro stravaganze stanno ricreando le condizioni del 1922 hanno forse paura di riconoscere che esiste il rischio che la storia si ripeta?
Devo dare atto alla Città di Forlì di aver avuto il coraggio di affrontare questo periodo con una interessantissima mostra nella prestigiosa sede dell’ex Convento di San Domenico, forse in omaggio al contributo dato da quei tempi alla sua urbanistica attuale e a quella della vicina Predappio (della quale è riportata nella mostra anche la oggi tristemente abbandonata Casa del Fascio di cui ho parlato nel numero 81).
La mostra, aperta fino al 16 giugno, comprende quasi un trentennio. Dalla fine del primo decennio del ’900 alla seconda guerra mondiale. Ma il fuoco è sugli anni ’20 e ’30. L’esposizione consente di mettere in luce tutte le tendenze, i movimenti, le avanguardie, i protagonisti, i temi, procedendo non secondo una sequenza cronologica, ma per polarità dominanti. Ne emerge uno spaccato di vita, di costume, che ben ritrae quegli anni, e che coinvolge anche le nuove arti: il cinema, la moda, le arti grafiche e decorative. I nomi sono quelli di Carrà, Severini, Soffici, Casorati, Prampolini, Balla, Sironi, De Chirico, Oppi, Sbisà, Funi, Marussig, Campigli, Donghi, Ferrazzi, Dottori, Maccari, Janni, Manzù, Guttuso, Martini, Andreotti, Fontana, Messina.
Apposite sezioni rievocano la I (1926) e la II (1929) Mostra del Novecento Italiano, organizzate da Margherita Sarfatti; la grande Mostra della Rivoluzione Fascista allestita a Roma nel 1932-1933 in occasione del decennale della marcia su Roma; la V Triennale di Milano che ha visto la consacrazione della pittura murale vista come un’arte nazional-popolare che faceva rivivere una tradizione illustre; la rassegna dell’Expo 1942 a Roma che ha segnato una profonda trasformazione nell’urbanistica e nell’immagine stessa della capitale.
Se qualcuno intende criticare alcuni quadri perché troppo “realistici” posso rispondere che a me è sempre piaciuto il realismo socialista e che fui molto felice nel 1992 di essere riuscito a vedere, grazie al tesserino di giornalista, il Museo d’Arte di Tirana, appena chiuso al pubblico dopo la caduta del regime, e del quale ignoro il destino oggi delle opere.
Fra i pezzi quelli che mi hanno più colpito sono un busto (vedi foto) di Mussolini di Bertelli intitolato “Profilo continuo”, un Pablo Picasso del 1921 che raffigura una bagnante … e si capisce perfettamente che cosa rappresenta, una libreria finemente intarsiata, una madia decorata con un mosaico originale e la pittura di apertura “La città ideale” di un pittore dell’Italia Centrale risalente al XV Secolo. Singolare per la sua attualità (più di un leader aspira al 100% dei voti) un manifesto che celebra quasi il 100% (solo 15 mila NO a livello nazionale) dei SI a un referendum! I vestiti infine denotano che non avevano paura dell’anoressia, essendo questi su manichini femminili filiformi, al massimo adatti ad ospitare uno scheletro.