Il canyon del Colca
Dopo attente riflessioni, ho deciso di scrivervi, sperando che, per quelli di voi che stanno vivendo tempi duri, sia possibile distrarsi un po’ e fare un salto qui con me.
Se sulla cima dell’Olimpo c’è una magica città, al fondo del canyon del Colca ci sono i più magnifici micro paesini che io abbia mai visto.
Il tempo si ferma sulle rive del fiume e le necessità si fanno basiche: acqua, cibo e coperte calde. Ci si dimentica perfino della doccia, perché anche se si è arrivati sudati fradici dopo cinque ore di discesa sotto al sole cocente, si sa che il giorno seguente si camminerà ancora e che tanto non si hanno vestiti di ricambio… dunque…
Il gruppo è bene assortito: due coppie di francesi, la più anziana, Gerard e Josslen, un po’ casinara, due ragazzi americani, Sam e Geremia (un tipo parecchio strano), Ilya, un Israeliano (perché non mancano mai) ed io, più ovviamente Rolando, la giovane guida.
Nel canyon si parla il Quechua, che ormai da tempo ha cessato per me di essere una marca di vestiti, ma tambien se habla castillan, e tutto ciò che vi entra o ne esce lo fa a dorso di mulo o sulle spalle degli abitanti che si arrampicano lesti come caprette di montagna sugli scoscesi crinali.
I bambini hanno la possibilità di studiare nella scuola locale solo fino alla fine del primario, dopo ci si sposta verso le città, perché non è pensabile pendolare su e giù tutti i giorni.
L’elettricità c’è, ma solo in alcune parti, e questo ti spinge a sincronizzarti con i cicli del sole: ci si sveglia all’alba e ci si corica al tramonto, talvolta dopo esserci attardati davanti a un piccolo falò ad ammirare le stelle.
Il secondo giorno il nostro obiettivo è l’oasi situata al centro del canyon, che abbiamo potuto scorgere dall’alto e che pare un paradiso verde e rigoglioso dove ci aspettano piscine e palmeti.
Cominciamo dunque a camminare tra i viottolini spesso affiancati da piccoli ruscelli gorgoglianti, passando accanto a orticelli coltivati con cura e casette di bambola… sembra davvero di essere in un altro mondo, quasi disabitato perché tutti sono al lavoro nei campi a terrazza, dove di tanto in tanto ci si imbatte in greggi di pecore e cordiali pastori.
E mentre scendiamo ancora, realizzo che la montagna che mi sta di fronte sarà il nostro cammino di domani e la totale serenità che mi pervade s’incrina leggermente… non sono certo famosa per le mie doti come trekker… ma inutile preoccuparsi adesso, mi dice Sam, mentre sguazziamo beati nella piscina del micro resort al fondo della valle.
Da ambientalista quasi convinta, non amo il tocco dell’uomo in luoghi così ricchi di naturalezza, ma devo dire che qui hanno fatto le cose come si deve e benché sia palesemente artificiale ciò che ci circonda, ben si sposa con il senso di irrealtà che pervade il Colca.. e godersi questo piccolo eden, alla luce delle candele, è un piacere inimmaginabile.
Il terzo giorno la sveglia suona alle quattro e mezza, cinque e mezza per chi ha noleggiato un mulo, e mezzi addormentati si comincia a salire.
E per la prima volta nella mia vita comprendo come ci siano persone che amino camminare in montagna. Ascoltare il mio corpo e trovare il mio passo, concentrandomi sul respiro, richiede il tempo necessario al sole di iniziare ad illuminare il mio cammino, cosìcché posso anche ammirare il panorama e la sua assoluta perfezione.
Il gruppo si divide, ognuno preso dalle proprie meditazioni e dal proprio ritmo, e mi trovo a camminare sola, in una bolla di silenzio e tranquillità.
Piano piano, passo a passo, senza mai una sosta, che mi sarebbe costata il congelamento e l’incapacità di ripartire, mi arrampico immersa nei miei pensieri e nella meraviglia dell’ hic et nunc. Il sorriso dei miei compagni mi aspetta alla cima, dopo quasi tre ore, insieme ad abbracci affettuosi e una colazione deliziosa.
La ricompensa è una sosta alle fonti termali, le cui acque calde rilassano la nostra muscolatura contratta.
Tornare alla chiassosa Arequipa è un misto tra sollievo e shock.
La città è vivace e moderna e si stende tra tre vulcani, le cui cime innevate si possono scorgere da quasi ogni angolazione. Come recita la scritta intagliata su uno degli archi del mirador: non si nasce invano alle pendici del vulcano… e il senso di fatalismo che ne deriva mi rimanda un po’ a voi e alla terra che vi trema intorno.
La gente è cordiale e il camion del rusco passa accompagnato dalla musichetta di “In fondo al mar” a ritirare la basura e generare allegria.
Tutti cercano di venderti qualcosa ed è fondamentale sviluppare l’arte della contrattazione (che già in Cina avevo affinato) per ottenere considerevoli sconti. Così eccomi di nuovo su un double decker che al prezzo di 10 soles, anziché 45, mi porta in giro per la città bianca e la sua periferia.
Questa sera prenderò un bus, per dove ancora non so.