Tassidermia del buongoverno
È una situazione davvero curiosa, quella di questo paese. Con il passare del tempo assistiamo sempre più da spettatori allo spettacolo in cui larga parte della politica recita un soliloquio accompagnato dall’armonizzazione più o meno soave, certamente in tonalità minore, di larga parte del giornalismo. Indipendentemente dalla formazione del governo, i deputati e i senatori di oggi si stanno mostrando esattamente identici nei comportamenti a quelli delle tre legislature che li hanno preceduti. Portano dentro i loro abiti scuri una sciatteria morale che arriva all’indisponenza nei non rari momenti in cui si sentono interpellati sul perché non danno seguito con azioni alle parole di cui riempiono i comunicati stampa.
Il Partito Democratico sostiene di aver vinto le elezioni, ma non è vero; non comporta l’effettualità di una vittoria il solo fatto di aver guadagnato un premio di maggioranza alla Camera per via di una legge elettorale che il PD stesso ha contestato a più riprese salvo mancare di prodigarsi per la sua sostituzione con altro sistema di ripartizione dei seggi. Bersani rifiuta giustamente la disponibilità del PDL, che pure ha votato gli stessi provvedimenti per un anno e mezzo di governo Monti, e chiede un improbabile gesto di responsabilità ai grillini, marcando una necessità di dare una risposta alle istanze di cambiamento che gli italiani hanno largamente mostrato di desiderare; ma il cambiamento che hanno desiderato gli elettori dell’Italia Bene Comune è da principio impossibile da conciliare con il cambiamento che hanno desiderato gli elettori del Movimento Cinque Stelle, perché le modalità sono completamente diverse. Se è vero che alcune leggi potrebbero essere proposte indifferentemente dagli uni e dagli altri, è intollerabile che si accordino personaggi che tra loro provano vivissimi sensi di disistima. Né può convincere la creazione di comitati di saggi su cui basarsi per estrapolare dal Parlamento consensi limitati a riforme certamente di tutto interesse ma non del tutto primarie se solo si dà attenzione alla vera emergenza sociale che affligge il paese.
Il nodo è qui: mentre ciascuno cincischia nel ciacciare della giustezza delle proprie opinioni e delle varie concezioni di opportunità di servire lo stato, e ognuno affonda in un lago di arroganza politica appigliandosi al miraggio di una zattera costruita con la sobrietà della propria onestà intellettuale, nessuno agisce. I grandi patrimoni continuano a essere utilizzati per generare ricarichi finanziari da aggiungersi a quelli stessi, e tutto avviene nel disinteresse più generale di una classe che controlla il sistema legislativo senza cercare di mutarlo realmente.
In sostanza, se preparassimo – a scopo scientifico, s’intende – le pelli dei nostri animali politici in modo da rendere possibile la conservazione, e le imbottissimo dando loro l’aspetto e l’atteggiamento di esseri vivi, otterremmo più o meno lo stesso risultato di quello che ottengono loro con il mancato legiferare.
Sento dire dagli esponenti della destra che la priorità del paese è l’abbassamento del carico fiscale e dagli esponenti del centrosinistra e dei grillini che bisogna agire immediatamente per cambiare la legge elettorale e istituire un vero regolamento sul conflitto d’interessi.
Le priorità, tuttavia, sono altre e le conosciamo bene. Le vediamo ogni giorno uscendo da casa e le percepiamo rientrandovi. La più evidente è la mancanza di posti di lavoro: e questa parola è la base del primo comma del primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana. Questa è certamente la prima impellenza, su cui andrebbe trovato un accordo pieno e compiuto fra tutte le parti politiche: e invece, cosa grave per l’andamento democratico del paese, montiani e berlusconiani lavorano per continuare su una strada che ha portato in una situazione intollerabile e – ancor più grave – i grillini se ne infischiano completamente, trincerati dietro alla prosopopea di un vincolo di mandato che dovrebbe impedir loro di avere il coraggio di prendere provvedimenti in difesa dei diritti delle persone, primo su tutti proprio il lavoro, e generare così un cambiamento che a quanto pare sono capaci solo di mettersi in bocca. Ma il cambiamento non si limita alla pronuncia della parola cambiamento.
Oltre a ciò, argomentazione quasi passata in secondo piano nell’agone politico, non fosse per i ripetuti richiami di Bersani (su questo non pienamente sostenuto dal suo partito), ci sono gli altri diritti fondamentali dell’individuo nella collettività. Potenziare e migliorare ulteriormente il sistema sanitario nazionale, riqualificare il sistema scolastico e quello universitario, ma soprattutto finanziare il trasporto pubblico. Trenitalia ha appena presentato il treno più fantasmagorico d’Europa, che farà Roma-Milano in due ore e un quarto a 360 all’ora. La sostenibilità dei trasporti è una delle basi su cui poggia un moderno paese democratico. Favorire il comfort dei più ricchi a scapito dei bisogni di chi ha meno possibilità (e di chi ha un senso etico più alto) è assai simile ad avere i prefetti che rilasciano il permesso per uscire dalla provincia. Con le centinaia di milioni di euro che spendiamo nella costruzione di treni ad alta velocità e di reti ferroviarie per i treni ad alta velocità potremmo acquistare decine di convogli per i pendolari, attuare linee pubbliche che migliorassero i sistemi di collegamento nelle nostre città traumatizzate, e con i guadagni che deriverebbero da un utilizzo molto maggiore (grazie a una qualità di livelli europei) dei trasporti pubblici si potrebbe gestirne la manutenzione e il rinnovo del parco mezzi. In questo quadro si creerebbero migliaia di posti di lavoro i cui relativi stipendi sarebbero già finanziati dalla loro stessa esistenza. Insomma, una spirale di vantaggi consequenziali: riduzione dell’inquinamento atmosferico, flessione del traffico veicolare (e del numero di incidenti), creazione di posti di lavoro (anche nell’indotto), risparmio di tempo e di denaro per gli utenti: e quindi miglioramento delle condizioni di vita e maggiore disponibilità economica, ovvero spinta al rimpolparsi dei risparmi e alla ripresa dei consumi. È solo un’idea, e chissà quante di migliori possono essercene. Ma di questo ha bisogno l’Italia. Di idee che portino ad azioni vere. Per non finire, come scriveva Hannah Arendt, “dal mondo del deserto, dalla politica, verso… non importa dove”.