Lo scandalo dell’antica Sybaris sommersa dal fango
Il 2013 si è aperto per la Calabria con un ennesimo, grave sfregio al patrimonio culturale nazionale. In seguito a qualche giorno di pioggia copiosa, l’esondazione del fiume Crati, in provincia di Cosenza, ha messo in pericolo l’esistenza del parco archeologico che custodisce i resti dell’antica Sybaris, autentico gioiello della storia. Fango, acqua e detriti hanno invaso gli scavi, provocando danni ancora difficilmente quantificabili, per lo sconforto degli storici, degli archeologi e di tutti i cittadini che conoscevano il reale valore di questo patrimonio dell’umanità.
Sybaris, fondata nel VI secolo a.C. dai coloni greci, non era una città come le altre. Metropoli di ben trecentomila abitanti, una cifra considerevole per l’epoca, rappresentava il centro del lusso e della dolce vita ante litteram e numerose leggende fiorirono sulle abitudini e le fastosità dei suoi abitanti. In particolare, testimonianze di queste peculiarità, oltre che dai resti e dai reperti, sono state fornite, fra gli altri, da Plutarco ed Erodoto. La città fu poi distrutta dai crotoniati attorno al 510 a.C. e rifondata una seconda volta nel 443 a.C. con il nome di Thurii, su uno schema urbano pianificato dall’architetto Ippodamo di Mileto. Infine, nel 194 a.C. fu rinominata Copia dai romani, probabilmente perché caratterizzata da un’organizzazione socioeconomica all’avanguardia.
Un parco archeologico di meno di dieci ettari sommerso da 4-5 metri di acqua e fango. Negli ultimi anni, ciò rappresenta una delle più pesanti deturpazioni al patrimonio artistico nazionale. I media extra regionali non hanno dato eccessivo peso alla notizia. Come se i resti fossero solo roba dei calabresi e non appartenessero, come invece prescrive la Costituzione, allo Stato e a tutti gli italiani. Evidentemente un muro che cade a Pompei fa molta più notizia. Non è una gara allo scempio più grave, ma allora si dimise addirittura il Ministro della cultura Sandro Bondi. Qui, l’ipotesi di lasciare la poltrona non l’ha presa in considerazione nemmeno l’assessore regionale alla cultura Mario Caligiuri, rifugiandosi, giustappunto, sul principio costituzionale che assegna allo Stato il sito d’interesse nazionale.
Uno scandalo, questo, che ha le radici nell’irresponsabilità e nell’inciviltà dei calabresi. E della classe dirigente che ha governato e continua a governare, con spaventosa approssimazione, la regione. Il fiume Crati è esondato perché gli argini, come da tempo qualcuno aveva fatto notare, non erano curati in modo tale da sopportare piene di una certa consistenza. Ed anche poiché qualcuno aveva coltivato un agrumeto a ridosso del corso d’acqua. La solidarietà degli agricoltori della Coldiretti, che hanno messo a disposizione delle pompe idrovore per far defluire l’acqua dal sito e l’instancabile lavoro dei vigili del fuoco e dei volontari permettono ancora di nutrire speranza sul futuro dell’area, ora coperta «solo» da uno strato di fango.
E’ un vero peccato. La mancata industrializzazione della maggior parte della regione negli anni Sessanta, non avvenuta per diverse ragioni, si sarebbe potuta leggere come un insperato punto di forza per la Calabria, in quanto si era scongiurata l’invasione di ciminiere e mostri di cemento che avrebbero sicuramente messo a repentaglio le risorse naturali e culturali del territorio. Basti pensare che proprio la sibaritide era stata indicata come area di sviluppo industriale ancor prima che venissero effettuati gli scavi che hanno dato la luce ai resti dell’antica Sybaris. Costruite le fabbriche, avremmo perso una testimonianza della storia.
Il patrimonio artistico italiano non ha pari nel mondo. Così come la straordinaria bellezza del territorio. Ripartire dalla tutela di ambiente e cultura, isolandole dal cemento selvaggio e dall’inciviltà di parte della cittadinanza e curandole spasmodicamente per fonderle, dovrebbe essere uno dei punti cardine dell’agenda del prossimo governo. Perché ciò riguarda anche la creazione di posti di lavoro, la tutela del territorio (in gran parte in regime di dissesto idrogeologico), l’attrazione di investimenti e di turismo.
Ciò che vale per l’Italia, vale per la Calabria «a maggior ragione», come ha sottolineato più volte Ida Dominijanni. Ambiente e cultura devono rappresentare un interesse preminente per rilanciare occupazione ed economia. Anche perché il patrimonio artistico è immenso (contrariamente a quanto molti possano pensare) e abbandonato a se stesso, nonostante l’impegno di diversi esperti, appassionati, studenti e ricercatori locali che devono fare i conti con una disorganizzazione di fondo a causa di quei posti di sopraintendenza occupati da personale che nemmeno conosce la regione. Per non parlare del territorio, così morfologicamente complesso e così incoscientemente deturpato. Non è luogo comune decantarne la bellezza potenziale: a chi scrive vengono in mente l’antica Kaulon, altro tempio archeologico greco affascinante che continua a sfornare gioielli (ultimo, il ritrovamento del disegno di un dragone, parte di un gigantesco mosaico) e situato sulla lunghissima e bianca spiaggia ionica, sormontata dalla macchia mediterranea; e stesso contesto mozzafiato potrebbero avere le colonne greche e i resti di torri e castelli aragonesi nel crotonese, se fossero tutelati in primis da una popolazione «sbadata». E centinaia di esempi si potrebbero fare di luoghi che potrebbero essere meravigliosi.
In realtà, quando s’innesca la fantasia immaginando come tutto potrebbe essere con la sufficiente civiltà e buon senso di un popolo, si corre il rischio di scivolare nell’irreale. Destino dell’Italia è la contraddizione fra la bellezza del suo territorio e dell’arte che conserva e la peculiarità degli italiani, così sciagurati nel non averne coscienza. Stesso discorso ma «a maggior ragione» per la Calabria e per tutto il Mezzogiorno.