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Scritto da nel Numero 96 - 1 Febbraio 2013, Tempo e spazio liberi | 0 commenti

L’Italia è un altro posto

L’Italia è un altro posto

L’apertura repentina della porta dello scompartimento mi sveglia di soprassalto: è un intercity, penso, lascia allora che la porta venga aperta d’improvviso, non puoi evitarlo. è un pensiero anche piuttosto semplice, direi logico, che però non mi salva dal fastidio: lo scompartimento è anche un luogo privato, specie se lo si occupa da soli: è la mia camera personale da viaggio o, meglio, la mia pubblica intimità assicuratami dal biglietto supereconomy da diciannove euro.
Fatto sta che la porta di apre e a gambe larghe all’entrata, cuffia di lana in testa, un ragazzotto unisce le mani al livello dell’addome, mi guarda, dice Oh, frate’, lo vuoi nu braccialetto d’oro? ed effettivamente, aprendo l’involto d’un fazzoletto di carta, mi mostra nascostamente l’oggetto che fulge nella mattinata assolata della stazione di Napoli, ma d’un giallo sporco o pesante, abbruttito, come fatto da troppo o troppo poco oro. In entrambi i casi non mi parrebbe un affare, anche se il ragazzotto mi assicura che è ‘n occasione! e così eludo, socchiudo gli occhi, penso anche male, a dirla tutta.
Il ragazzotto va via, lascia la porta aperta: sospiro, mi alzo, mi chiudo dentro, mi risiedo. So’ diventato insopportabile mi dico e mi riprometto di non girarmi più verso la porta e di guardare solo fuori. Il treno poi parte anche.

Non passa molto e di nuovo la coda dell’occhio disegna due ombre fuori dallo scomparto: per puntiglio non mi giro, loro non si fanno problemi, aprono la porta e entrano: penso male, anche questa volta, ma sono costretto a voltarmi: due enormi poliziotti mi si siedono rispettivamente di fronte e a fianco: penso che è da molto tempo che i finestrini dei treni non si possono abbassare abbastanza da buttarcisi fuori.
In verità sono poi contento che questi due omoni (ma perché i poliziotti mi sembrano sempre dei marcantoni?) mi facciano un sacco di domande ché mi sento rassicurato dall’essere giusto uno studente, e per giunta di quelli rabboniti, di una borghesia immacolata. è un controllo dicono, dove andiamo? e poi vanno avanti a ricostruire la storia intera della vita mia, che tra l’altro si snoda in tre città diverse a dover chiamare in causa anche gli spostamenti della mia famiglia come loro gentilmente mi fanno ingiunzione di fare. Vita morte miracoli, chiamata alla centrale, raccolta dati, buon viaggio e stia attento alla borsa. La porta la chiudono.

Questo per dire cosa? Per parecchio tempo me lo sono chiesto anche io, con il viso che deragliava contro il finestrino, con la fronte che vi si schiacciava e con gli occhi che si lasciavano andare sulla sfilza di campi per metà allagati. Ma è normale che i campi siano così sommersi? e intanto mi appisolavo, e scordavo.
Il panorama d’Italia che cambia dal treno è il controcanto delle persone d’Italia che s’alternano dentro le carrozze: il punto è che per storia personale sono sempre stato un apolide d’Italia, nato a Latina da famiglia cilentana e cresciuto a Bologna: per me l’Italia è un insieme pulsante di tutti questi paesaggi a cui s’aggiungono le identità degli altri luoghi che ho conosciuto meglio: e oggi non saprei dire cos’è questo paese. Ecco, in fondo, l’unica casa che so, che oggi ho compreso, è che l’Italia è sempre un altro luogo. Così ne vivo sempre come forestiero, scontrandomi con le pienezze umane che butta fuori, con i colori vivi o scialbi e i venti, oppure i dialetti o le sfacciataggini, e tutto poi si deve ricomporre, piano, attraverso le domande che i poliziotti ti fanno sul treno. Bravo, mi raccomando, valli a trovare i nonni mi aveva detto un poliziotto mentre l’altro chiamava in centrale; è una bella città Bologna, eh? aveva poi aggiunto. Cos’è una bella città? è la bella città che vedi da Napoli, da Siracusa o da Milano? è l’ammasso di rossi che punteggia tutto il panorama o solo l’assenza dei palazzoni scalcagnati che s’addossano al mare sulla costiera cilentana? Oppure, ancora, è la mancanza di quella voglia spavalda di fare che t’aggredisce quando passi al di sotto del parallelo quarantaduesimo o l’odore felsineo del quadrilatero che alterna il reggiano al pesce in tutte le mattine del mondo? è questa l’Italia o l’altra, da che prospettiva s’ha da guardare? Devo credere agli amici Bolognesi che vogliono fuggire via verso l’Europa o ai miei amici di giù che vogliono trasferirsi al nord o ai miei cugini che da Reggio Emilia scappano a Ogliastro Cilento? Questa storia dell’Italia finirà per farmi impazzire o per convincermi alla fine che si tratta più che altro di una sensazione, di una presenza costante dell’opportunità di essere altrimenti dentro questi sfocati confini: giù, su: in fondo se prendi un intercity Bologna-Salerno sono ancora sette ore di viaggio ed hai il tempo di capire cosa c’è che fa la differenza o capire che la differenza non la fa niente e che non sei mai in Italia davvero e che insomma sei costretto sempre a sbocconcellarla l’Italia, pezzo a pezzo, senza mai sapere infine ‘sto paese, complessivamente, di che sa.
In fondo è questo, ho trovato: scrivere dell’Italia vorrebbe dire scrivere di ogni cittadella, d’ogni boschetto e d’ogni discarica, d’ogni tomba e d’ogni chiesa, di ogni odio sottaciuto e d’ogni compassione che ci fa gli occhi languidi: è il pino domestico l’Italia e pure gli Appennini; soprattutto è sempre una domanda o un conforto, è una possibilità aperta di trovare l’antitetico a qui, l’opposto alla nebbia, l’opposto al freddo, l’opposto alla risata affievolita oppure l’opposto alle montagne o alla sabbia della riviera, opposto al dialetto e al modo di carezzare, e in fondo è così tanta che non si può mai averla tutta.
L’Italia è sempre un altro posto.

E’ trucco da mimi
far sparire  il peccato
lesinare le parole per
poco compromettersi

Piuttosto meglio
è tacciare e stornare la testa:
la maledizione in noi è nascosta:
lo sguardo di tralice per gli altrui visi
le mani compunte
la lama sotto il cappotto

Le nostre tane quotidiane
non temono la nebbia: se chiuse
bene le imposte
potremo fare sguardi assassini al
vicino e
regalargli bottiglie di Porto:
altri i colpevoli e noi
salvi
loro uomini
ma meno:
ecco il trucco:
rigirare la mano vuota del
bigio rame-nichel malfatto:
pace sulla casa consacrata
che non sa la prigione
degli esili invano

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