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Scritto da nel Numero 95 - 1 Dicembre 2012, Scienza | 0 commenti

Tornado o F35?

Se chiedete lumi agli esperti vi risponderanno che gli aerei da combattimento possono distinguersi in aerei da difesa ed aerei d'attacco. Ma che significa? Mi risulta ostica la distinzione fra squadre di calcio difensiviste e squadre offensive, fra moduli trapattoniani e schemi zemaniani, perché alla fine si scende comunque in campo per vincere, figuriamoci se posso concepire la distinzione fra Eurofighter (caccia intercettori) che si presumono impegnati in azioni di difesa dello spazio aereo e Tornado o, nella loro evoluzione tecnologica, F35, i quali compiendo voli radenti sui fronti bellici sono spiccatamente offensivi. Alla fine si sale comunque in aria per distruggere.
I Tornado europei si sono distinti nelle missioni nei Balcani e in Medio Oriente; gli F35 (la bellezza di 90 e prima dovevano essere 130) che i governi italiani, precedente ed attuale, hanno in animo di acquistare, alla modica cifra di 13-14 miliardi di euro, vedremo, prima o poi, in quale area del mondo sganceranno i loro ordigni mortali. Ad oggi i primi continuano a costituire la punta di lancia della componente di attacco dell'Aeronautica Militare e sono in servizio con il 6° Stormo di Ghedi, il 50° Stormo di Piacenza ed il 36° Stormo di Gioia del Colle. Ora, quest'ultima cittadina, posta sui contrafforti collinari delle Murge baresi e famosa più che altro per le prelibate mozzarelle, da cui partono i cacciabombardieri vecchi e nuovi, dista una manciata di chilometri dalla cappa inquinante che avvolge la città italiana più chiacchierata degli ultimi tempi, ossia Taranto.
Mi rendo conto che il percorso possa apparirvi tortuoso ma è un fatto che sulla città pugliese, oltre ai fumi ed ai veleni dell'Ilva che peraltro non hanno nulla di nuovo, intossicando i cittadini da decenni e venendo alla ribalta della cronaca solo per l'azione dirompente della magistratura, si sia abbattuto anche un violento tornado. Questo sì naturale e che però in proporzione ha la stessa forza distruttiva dei Tornado militari. Esso, a differenza dell'inquinamento, ha invece una relativa componente di novità, ma ci torneremo dopo.
Taranto è stata capitale della Magna Grecia, è incantevole nel suo cuore antico (la città vecchia) incastonato fra il Mar Piccolo e il Mar Jonio, è un potenziale enorme di Pil grazie alla sua collocazione geografica ed alle infrastrutture portuali ed invece è stata ridotta ad uno straccio maleodorante, ad un polmone enfisemico, da una dissennata programmazione industriale che risale agli anni '60, all'Iri, alla geopolitica clientelare. Oggi però le stalle sono vuote da un pezzo e i buoi non solo sono scappati ma sono anche morti. Oggi, ma anche ieri o quanto meno da una ventina di anni, le classi dirigenti politiche ed amministrative, quelle sane s'intende, semmai esistano, hanno le mani legate a fronte di tali ecomostruosità, perché, è inutile nascondersi dietro un dito, al netto della corruzione, delle connivenze, delle relazioni di scambio clientelare, degli interessi reciproci, l'alternativa secca lavoro-salute metterebbe in crisi anche uno statista illuminato. Se poi quel lavoro e l'indotto che ne derivava, che ha garantito la sopravvivenza della città e delle province limitrofe, le quali hanno conosciuto comunque l'emigrazione ma forse in modo non così massiccio come in altre zone del meridione, è anche uno dei fattori determinanti nella economia complessiva della nazione, pensare di poterlo dismettere non deve essere mai stata cosa molto semplice. Certo non andavano chiusi gli occhi a fronte della morte che esso produceva e certo non bisognava crogiolarsi nell'illusione che la siderurgia potesse durare imperitura nel tempo, non almeno per come la si era concepita negli anni 60-70.
Questo è un discorso che vale per Taranto ma anche per altri insediamenti di industria pesante in giro per il paese. Da Gela ad Augusta, da Crotone a Marghera, da Cengio a Seveso, da Piombino a Bagnoli, da Ravenna a Carbonia e Porto Torres, da Brindisi a Mantova, l'elenco di ecomostruosità non controllate e/o non riconvertite negli anni potrebbe continuare all'infinito nei vari settori industriali e molte di queste realtà sono già implose, come pare essere destinata Taranto. Inoltre vale per l'Ilva ma anche per altre realtà produttive della zona, perché la cittadina jonica è stata “ingolfata” di industrie come un carburatore sempre acceso ed il prezzo dello smog e del cancro non è stato fissato solo dall'Italsider pubblica prima e dalla famiglia Riva poi ma anche dalla presenza dell'Arsenale militare e delle raffinerie dell'Eni.
Cosa si poteva fare allora e cosa si può ancora tentare di fare per salvare la città, i lavoratori dell'Ilva, la salute dei cittadini? Intanto bisognava affrontare di petto una trentina di anni fa il dilemma lavoro vs salute. Nessun polo industriale per quanto lavoro possa creare e garantire può essere concepito e gestito senza badare alle ricadute sull'ambiente. La legislazione in materia esiste ed è anche abbastanza avanzata, si tratta solo di applicarla e farla rispettare e questo non è stato fatto sistematicamente, se non in tempi recenti, in modo però confuso e timido e a colpi di ricorsi amministrativi e giuridici, quindi con farraginosità e lentezza insostenibile. Poi occorreva valutare bene quali produzioni potevano reggere nel tempo e quali erano destinate ad un lento decadimento ed anche questo non è stato fatto perché si è stati di una miopia grossolana nel non accorgersi di ciò che accadeva fuori dall'Europa. Infine, in nome del libero mercato, ci si è affidati ciecamente ai principi della libertà di impresa privata e del contenimento dei costi, fra cui quelli della sostenibilità ambientale, come unici motori pulsanti del fare produzione.
Oggi invece servono misure urgenti e drastiche e non va lasciato alla magistratura il compito di provvedere alla “ricostruzione”. Quest'organo emanando sentenze e producendo cultura giuridica ha una funzione cruciale nell'imprimere svolte politiche ma non ha poteri sostitutivi di soluzione delle problematiche, soprattutto quando queste non si risolvono nella fattispecie contingente ma investono una progettualità, una filosofia di lungo periodo. Tocca alla politica ed agli amministratori quindi porre i rimedi. E nell'immediato, per chiudere il cerchio e far tornare tutti i conti presentati in questa esposizione, essa dovrebbe ad esempio mettere in conto un forte intervento statale che vada in direzione contraria al “lascito benevolo” che venne fatto all'epoca in favore dei Riva e dovrebbe ad esempio far ciò, non con una ri-nazionalizzazione tout court dell'industria siderurgica che forse nell'immediato, con le casse statali all'osso, potrebbe essere avventata, bensì con uno storno degli investimenti. E, sempre ad esempio, quali migliori fondi per l'Ilva si potrebbero trovare di quelli faraonici ed ignobili che si vogliono indirizzati agli F35? Sarà più importante “portare la pace” in giro per il mondo o dare pace a quei poveri morti, ammalati di lavoro e di inquinamento, che vedend
o il golfo di Taranto dall'alto fremono al pensiero che ai propri figli possa toccare la loro stessa infame sorte?

Inoltre, tamponata la criticità ambientale immediata, vanno ripensate completamente sia la politica di sviluppo industriale della città in oggetto che le prospettive di crescita complessive del paese e in particolare di alcune aree del nostro mezzogiorno. E' forse finito il tempo di produrre e accumulare, produrre e saturare il mercato, bisogna fermarsi a capire se produrre e cosa produrre. Così d'acchito non posso non scorgere nella città jonica il potenziale di polo mercantile, commerciale ed agricolo che essa possiede. Taranto ha lo sguardo rivolto a sud, al Mediterraneo, al futuro e pensare di farne una Rotterdam o una Amburgo del sud Europa non mi pare una follia. Inoltre ha alle sue spalle, nei paraggi delle sue articolazioni, la robusta agricoltura di qualità della sua provincia e di quelle limitrofe e la fertile pianura del metapontino. Basteranno le mozzarelle dop, l'olio di oliva, gli agrumi e lo smistamento delle derrate provenienti da tutto il bacino mediterraneo a farla risorgere? Forse no ma almeno non si continuerà a seppellirne gli abitanti.
Ritornando al tornado meteorologico si è trattato di un fenomeno davvero imponente che forse avrebbe arrecato danni anche maggiori se solo avesse avuto una traiettoria spostata di qualche chilometro più a nord, verso il centro abitato. La tromba d'aria quanto a grado di intensità è stata classificata F2 (al limite con F3): in sostanza evento significativo tendente al forte, per capirci meglio, venti che soffiavano sino a 200-220 km orari. Come sempre in questi casi estremi, si ragiona se il fenomeno sia eccezionale o se rientri nella normalità climatologica e se possa configurarsi un'accentuazione rispetto al passato. Prima parlavo di relativa novità, ed in effetti la storia ci dice che l'Italia è uno dei paesi con la più alta incidenza di trombe d'aria al mondo. Nel 1930 nel trevigiano un tornado costò la vita a 23 persone, nel '53 provocò la caduta della parte superiore della Mole Antonelliana a Torino, nel '70 si lasciò alle spalle 36 vittime nella laguna veneta. Come si vede purtroppo è un fenomeno che ha una sua ciclicità anche se va intensificandosi ultimamente. Resta da capire piuttosto come mai si stia presentando con maggiore frequenza in mesi non più estivi o di inizio autunno come accadeva un tempo e ciò non può che ricollegarsi all'aumento complessivo delle temperature che portano ad avere mari “bollenti” ancora nel mese di novembre. Il surriscaldamento dei mari che perdura per tutto l'autunno fa si che tutti i fenomeni instabili (dai venti alle precipitazioni piovose) siano esaltati dal gap termico con le correnti fredde tipiche della stagione tardo autunnale o invernale e dunque divengano più virulenti ed arrechino maggiori danni sui territori dove si verificano.
Nell'immediato futuro l'avanzare della stagione fredda dovrebbe scongiurare le alluvioni e i cicloni degli ultimi due mesi proprio per l'appianarsi di tali scambi termici, quindi possiamo confidare che con l'arrivo vero e proprio del generale inverno nella prossima settimana, con il prevalere delle correnti settentrionali su quelle occidentali o di scirocco, la fenomenologia possa risultare meno estrema. Ciò non vuol dire stabilità climatica perché gli anticicloni si sono ormai allontanati dal territorio italico; anzi l'irrompere di correnti artiche marittime causerà comunque piogge e nevicate a quote collinari e le raffiche di maestrale la faranno da padrone sulle coste, specie della Sardegna e tirreniche. Inoltre secondo alcune proiezioni modellistiche la neve potrebbe fare un'apparizione anticipata persino in pianura padana già da domenica prossima quando le correnti potrebbero in vorticarsi continuando a pescare uno scirocco freddo dall'Adriatico che si disporrebbe poi a bora sul nord Italia.
Il tempo continuerà ad esser perturbato per parecchi giorni perché saranno tante le perturbazioni che troveranno vita facile a penetrare dalla valle del Rodano, anche se vi saranno pause di bel tempo ed anche se, specie sul Nord-Ovest, il periodo dal 2-3 dicembre all'Immacolata potrebbe essere stabile e soleggiato, anche se ormai freddo. Al centro-sud la neve sarà relegata a quote più alte, al di sopra dei 500-800 metri ma il tempo sarà instabile per tutta la settimana. Insomma si configura un avvio di inverno in bello stile, con una variabilità di stampo autunnale ma con le temperature assai più frizzanti. All'orizzonte però non si vede il grande gelo, almeno sino al 15-20 dicembre, in quanto non vi sono masse di aria continentale provenienti dalle pianure del nord est europeo che possano prendere la scena. Il protagonista pare piuttosto l'Artico con scambi meridiani intensi, il che significa correnti veloci da nord che spazzano l'intera penisola con fenomeni vivaci ma non persistenti. E spazio per sprazzi di sole qua e là, durante i quali a qualcuno potrà magari venire voglia di recarsi ad un seggio, con la giustificazione in mano o no. Personalmente resterò a scrutare se dalle nubi sbuca qualche tornado anzichè qualche F35.

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