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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 95 - 1 Dicembre 2012 | 1 commento

Economia e Felicità

La crisi economica che in questi primi anni del terzo millennio sta sconvolgendo tutto il mondo globalizzato ha reso familiari, tra l'altro e grazie ai media, alcuni termini (tutti inglesi) prima sconosciuti al grande pubblico: spread, swap, rating, default e tanti altri che appartengono al gergo della finanza. Ma questo è solo un aspetto marginale del fenomeno. Questa crisi epocale ha fatto affiorare tanti aspetti dell'agire umano che solo apparentemente non hanno attinenza con la branca dell'economia e della finanza.
Ci soffermiamo brevemente ad esaminare la relazione tra economia e felicità.
Ci sono due livelli di pensare la felicità: il primo riguarda la dimensione religiosa che rinvia al rapporto con Dio; l'altro livello riguarda invece il rapporto col mondo. Per motivi di spazio (e non solo) fermiamo l'attenzione sul secondo campo di riflessione.
La ricerca della “felicità”, intesa in generale come condizione stabile di soddisfazione totale, è un tema che ha sempre interessato i pensatori di ogni epoca. Nell'antichità classica la nozione e la ricerca della felicità erano oggetto delle dottrine che si possono ricondurre all'eudemonismo (la felicità come fondamento della vita) che avevano, grosso modo, una connotazione per lo più ristretta al piacere e all'individuo.
Nell'epoca moderna, a partire dalla stagione dell'Illuminismo, la nozione di felicità ha assunto un significato più ampio, interessando anche il campo del pensiero sociale e politico, oltre che filosofico.
Già la Costituzione americana del 1787 includeva, tra i diritti naturali inalienabili dell'uomo, “la ricerca della felicità”, unitamente al “diritto alla vita” e alla “libertà”.
Oggi il tema della felicità è entrato anche nell'agenda di molti leader politici. In Francia, sotto la presidenza Sarkozy, è stata costituita una commissione di esperti col compito di studiare e “confezionare” il “PIL del benessere”. Nel comune di Ceregnano, un piccolo centro del Polesine nella provincia di Rovigo, è stato addirittura creato “l'assessorato alla felicità”.
Negli ultimi anni, segnati dalla crisi, oltre agli studiosi di scienze umane (filosofi, sociologi, antropologi, psicologi), anche molti economisti, si occupano e ragionano delle conseguenze emozionali della crisi. Si chiedono, in particolare, come si può reagire alla crisi economica e se questa congiuntura può influire sulla felicità umana.1
La tesi di questi studiosi si può riassumere in questi termini: una volta raggiunti i beni essenziali e la soddisfazione dei bisogni di base, tutto ciò che si ottiene di più appare irrilevante per sentirsi più appagati e più contenti. Anzi la ricchezza fine e se stessa procura fobie, causa comportamenti compulsivi e ansiogeni; l'accumulo di denaro spesso scatena tempeste emotive: orgoglio, invidia, ecc. Tutto questo è agli antipodi della felicità.
Bisogna dire che queste idee non sono del tutto nuove.
Dopo la grande crisi del 1929 Franklin Roosevelt, presidente americano, affermava: “La felicità non viene … dal possesso dei soldi ma dal piacere che viene dal raggiungimento di uno scopo”.
Nei primi anni del secolo scorso l'economista inglese Arthur Cecil Pigou (1877 – 1959) con la sua opera più famosa, L'economia del benessere (1920), ha dato un forte impulso agli studi sulla relazione tra economia e felicità.
L'economista americano Richard Easterlin nel 1974 affermava che “la ricchezza non produce la felicità”. Easterlin, attualmente docente di economia presso l'Università Southern in California, spiega questo singolare assunto con l'argomentazione che egli chiama “Paradosso della felicità”: quando il reddito cresce, la felicità umana aumenta fino ad una certa soglia, poi lo stato di contentezza e di soddisfazione (appunto la felicità) decresce progressivamente seguendo l'andamento di una a curva rovesciata <∩>. 2
Per risolvere il “paradosso”, secondo Easterlin, occorre aggiungere alla cifra dell'abbondanza un'altra categoria di beni e, precisamente, i “beni relazionali”, o “beni non posizionali”: salute, famiglia, amici, cultura. Si tratta di pensare ad una mappa dei fattori di benessere che possa rispecchiare interamente la realtà della nostra vita.
Gli esperti che si occupano di queste problematiche socio-economiche sono concordi nel sostenere che è ormai superata la tradizionale prospettiva, propria dei paesi industrializzati, che interpreta la crescita come espressa unicamente in termini di PIL (Prodotto Interno Lordo). Purtroppo questa visione economicistica persiste ancora nel mondo occidentale, come testimoniano le “sentenze” ricorrenti delle varie agenzie di rating di Oltreoceano.
Ma fuori dei potenti circoli finanziari, che si muovono più su un piano virtuale che reale, oggi si fa strada un'impostazione condivisa che si può così riassumere: la situazione di crisi può e deve essere l'occasione per rivedere la scala dei valori e dei bisogni, facendo riemergere aspetti vissuti e profili etici che sembravano scomparsi dall'orizzonte della società dei consumi. Nonostante il persistere di fatti deplorevoli, ci sono segnali incoraggianti che inducono a dare senso e consistenza a criteri di comportamento di segno positivo come onestà, sobrietà, sostenibilità, solidarietà, responsabilità sociale. Sono le attese che riecheggiano in varie parti del mondo occidentale all'interno dei movimenti spontanei degli “Indignati”, registrati dalla cronaca.
La felicità non può essere qualcosa che l'individuo decide di procurarsi strumentalmente: essa ha un fondamento relazionale, dinamico e corale. Le relazioni umane sono di gran lunga il migliore investimento in termini di felicità.
La felicità, nella realtà terrena, sarà sempre una condizione raggiungibile entrando in sintonia con gli altri. “
Non si può essere felici da soli”.3

(1) In Italia si occupano della problematica Enrico Giovannini e Leonardo Becchetti, entrambi ordinari di economia all'Università “Tor Vergata” di Roma, Giovannini è anche presidente dell'ISTAT; Matteo Motterlini, ordinario di filosofia della scienza presso l'UNISIR di Milano; Domenico Secondulfo, ordinario di sociologia generale presso l'Università di Verona. Antonio Andreoni, ricercatore di economia dello sviluppo presso l'Università di Cambridge in Inghilterra;
(2) A margine dell'analisi di Easterlin si può aggiungere che il “paradosso” oggi è determinato anche dall'equivoco che identifica la “ricchezza” col “benessere” o, per usare l'espressione di Erik Fromm, di assimilare (e anteporre) “l'avere” a “l'essere”. L'equivoco evoca anche il mito del Re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava. Il Re frigio, per il singolare “privilegio”, concesso da Dioniso, scontava il tremendo contrappasso della massima ricchezza che diventava la peggiore povertà.
(3) Alessandro Morandotti, Minime, 1979

1 Commento

  1. eecco il testzo

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