Cielo rubato
Non sarà una misura decisiva per sanare il ciclopico debito pubblico nazionale, ma la proposta di ridurre l' intensità dell' illuminazione pubblica, con un risparmio stimato sulla bolletta energetica di un miliardo di euro, ha già incontrato il favore di chi, per lavoro o per passione, è abituato a scrutare la volta celeste.
Ancora quasi ignorato, per quanto ben documentato dalle immagini riprese dai satelliti meteorologici, l' inquinamento luminoso del cielo notturno, come altre forme di degrado ambientale, è cresciuto di pari passo con il progresso urbano e industriale.
Col tempo lo sviluppo degli insediamenti produttivi e la continua estensione delle aree urbane hanno creato vaste zone di territorio dove è sempre più difficile scorgere il cielo stellato.
Per trovare un esempio emblematico non c' è bisogno di andare molto lontano. Già nei primi anni del ' 900 il direttore della Specola di Bologna, l' antico osservatorio astronomico cittadino costruito nel XVIII° secolo, segnalava l' esigenza di realizzare una nuova struttura osservativa in un luogo meno esposto alle luci della città.
In tempi più recenti anche il famoso telescopio di Monte Palomar in California ha iniziato ad avere diversi problemi causati dalle luci e dal pulviscolo di Los Angeles.
Per un astrofilo il problema si può risolvere affrontando percorsi più lunghi e disagevoli per raggiungere buoni punti di osservazione. Ma il danno che l' inquinamento luminoso provoca alla ricerca scientifica, finanziata dal denaro pubblico, finisce per diventare un aggravio per le tasche dei contribuenti. Il peggioramento delle condizioni di osservazione riduce la vita operativa dei telescopi con conseguenti maggiori costi di esercizio. Non è un caso che le aree dove realizzare i più recenti telescopi siano state localizzate in luoghi remoti come le Ande cilene e le pendici vulcaniche delle Isole Canarie.
Ma lo sbiadirsi della volta celeste nei cieli cittadini è anche un impoverimento culturale, soprattutto per le nuove generazioni.
La cultura del cielo ha radici millenarie che affondano all' alba dell' uomo. La civiltà degli aborigeni australiani, nata circa quarantamila anni fa, probabilmente la più antica che si sia conservata sulla Terra, è riuscita a conservare attraverso i secoli la sua cosmogonia.
Come loro, probabilmente altre civilità primitive avevano una conoscenza approfondita del cielo notturno.
Oggi per molti bambini che vivono in città e navigano su internet è più facile leggere o sentire parlare della Stella Polare o dell' Orsa Maggiore o della Via Lattea che vederle con i propri occhi nel cielo notturno.
Una perdita di percezione non da poco se si pensa che sopra la testa abbiamo metà del nostro paesaggio.
Ancora quasi ignorato, per quanto ben documentato dalle immagini riprese dai satelliti meteorologici, l' inquinamento luminoso del cielo notturno, come altre forme di degrado ambientale, è cresciuto di pari passo con il progresso urbano e industriale.
Col tempo lo sviluppo degli insediamenti produttivi e la continua estensione delle aree urbane hanno creato vaste zone di territorio dove è sempre più difficile scorgere il cielo stellato.
Per trovare un esempio emblematico non c' è bisogno di andare molto lontano. Già nei primi anni del ' 900 il direttore della Specola di Bologna, l' antico osservatorio astronomico cittadino costruito nel XVIII° secolo, segnalava l' esigenza di realizzare una nuova struttura osservativa in un luogo meno esposto alle luci della città.
In tempi più recenti anche il famoso telescopio di Monte Palomar in California ha iniziato ad avere diversi problemi causati dalle luci e dal pulviscolo di Los Angeles.
Per un astrofilo il problema si può risolvere affrontando percorsi più lunghi e disagevoli per raggiungere buoni punti di osservazione. Ma il danno che l' inquinamento luminoso provoca alla ricerca scientifica, finanziata dal denaro pubblico, finisce per diventare un aggravio per le tasche dei contribuenti. Il peggioramento delle condizioni di osservazione riduce la vita operativa dei telescopi con conseguenti maggiori costi di esercizio. Non è un caso che le aree dove realizzare i più recenti telescopi siano state localizzate in luoghi remoti come le Ande cilene e le pendici vulcaniche delle Isole Canarie.
Ma lo sbiadirsi della volta celeste nei cieli cittadini è anche un impoverimento culturale, soprattutto per le nuove generazioni.
La cultura del cielo ha radici millenarie che affondano all' alba dell' uomo. La civiltà degli aborigeni australiani, nata circa quarantamila anni fa, probabilmente la più antica che si sia conservata sulla Terra, è riuscita a conservare attraverso i secoli la sua cosmogonia.
Come loro, probabilmente altre civilità primitive avevano una conoscenza approfondita del cielo notturno.
Oggi per molti bambini che vivono in città e navigano su internet è più facile leggere o sentire parlare della Stella Polare o dell' Orsa Maggiore o della Via Lattea che vederle con i propri occhi nel cielo notturno.
Una perdita di percezione non da poco se si pensa che sopra la testa abbiamo metà del nostro paesaggio.