Due racconti di viaggio per l'estate
Si possono comprendere terre lontane e popoli forestieri anche stando comodamente seduti in poltrona o sul letto di casa, boccheggiando a causa di un caldo torrido e prematuro, o ancora meglio in spiaggia al mattino presto o nel tardo pomeriggio. Basta affidarsi ad autentici viaggiatori e calarsi nelle avventure da loro vissute e raccontate nei libri.
L'Africa è luogo immenso e vario, un mondo a sé. E nessuno come Ryszard Kapuscinski ha raccontato meglio una porzione di questo mondo. Dalla lettura di “Ebano” si comprende banalmente come il nostro sistema economico non calzi per un continente da un equilibrio morfologico, climatico e sociale oltremodo delicato. L'uomo occidentale ha devastato questo equilibrio, seminando morte e distruzione, sconvolgendo l'ambiente e depredando il territorio. Inoltre, si è inventato stati, nazioni e popoli col risultato di creare pretesti per guerre civili crudelissime, feroci, di una violenza inaudita. Neppure il nostro sistema politico si adatta al continente Nero: milioni di tribù dovevano continuare a vivere secondo le rispettive regole e tradizioni, per quanto bizzarre a volte possano essere.
Kapuscinsky, da straordinario viaggiatore, in questo libro ha descritto con efficacia la dura quotidianità di uomini e donne d'Africa: la scarsità di risorse ed energia, la povertà, la lotta per la sopravvivenza in un clima proibitivo. Emerge la forza di volontà di questa gente, che vive di azioni semplici che finiscono per avere tutte un valore particolare; si tratta di gente che ha imparato a soffrire come nessuna altro su questo Pianeta. Peccato che tale sofferenza invece di unire, spesso ha scagliato le tribù l'una contro l'altra. Il giornalista polacco narra anche il legame profondo che il cuore dell'Africa ha con Madre Terra, il rispetto per gli anziani e per gli antenati, la comprensione che ogni essere vivente è dotato di uno «spirito» e per questo va (andrebbe) rispettato. Solamente abitando nei sobborghi più poveri, rischiando più volte la morte e sobbarcandosi spostamenti assurdi si può descrivere così lucidamente un continente come l'Africa.
Il senso di colpa che questo libro susciterà nel lettore occidentale può essere messo un attimo da parte, ma non eliminato, con un altro racconto di viaggio, totalmente differente nei contenuti ma non per questo meno interessante: in fin dei conti si tratta sempre di scoprire popoli poco conosciuti. Tobia Desalvo ne “Il viaggio con gli stivali” ci porta alle foci del Volga con la motocicletta, attraverso un percorso che occorre seguire sulla cartina, pagina dopo pagina, per meglio comprendere l'escursione.
Ad ogni motociclista errante tornerebbe utile sfogliare l'opera del nostro direttore al fine di intuire come meglio relazionarsi con i forestieri lungo il cammino. La strada percorsa da Tobia in Transalp è piuttosto originale: taglia l'Europa dell'est attraverso Slovenia, Ungheria, Romania, Moldova e Ucraina e, costeggiando il Mar Nero, sguscia in Crimea e finisce quindi a Soci, in Russia, ai piedi del Caucaso.
Le gesta del protagonista non sono eroiche, ma rappresentano comunque il superamento di ostacoli insormontabili per la stragrande maggioranza dei comuni viaggiatori dell'era ryanair: bisogna essere meticolosi nel preparare i documenti prima della partenza, altrimenti la burocrazia dei visti e delle dogane potrebbe creare diversi grattacapi in vacanza. E poi non è affatto facile e scontato prelevare da un bancomat a Chisinau, trovare un alloggio economico a Volgograd o divertirsi a Stavropol. Soprattutto, occorre una sconfinata pazienza per sfuggire alle «trappole» tese dalle forze dell'ordine dell'ex Unione Sovietica nonché, in generale, per convivere con un popolo che ai più può apparire scorbutico.
La lettura scorre velocemente, come la motocicletta di Tobia sugli sterminati nastri d'asfalto della steppa, poiché si raccontano semplici esperienze di viaggio. Non rimane deluso chi si aspetta chissà quali avventure da questa storia: basta che rammenti a se stesso che, ad esempio, non è situazione comune quella di affidarsi a perfetti sconosciuti, sulle rive del Dniestr, parcheggiare la moto, salire sul loro furgone e passare qualche giorno in una realtà famigliare anni luce differente dalla nostra.
L'Africa è luogo immenso e vario, un mondo a sé. E nessuno come Ryszard Kapuscinski ha raccontato meglio una porzione di questo mondo. Dalla lettura di “Ebano” si comprende banalmente come il nostro sistema economico non calzi per un continente da un equilibrio morfologico, climatico e sociale oltremodo delicato. L'uomo occidentale ha devastato questo equilibrio, seminando morte e distruzione, sconvolgendo l'ambiente e depredando il territorio. Inoltre, si è inventato stati, nazioni e popoli col risultato di creare pretesti per guerre civili crudelissime, feroci, di una violenza inaudita. Neppure il nostro sistema politico si adatta al continente Nero: milioni di tribù dovevano continuare a vivere secondo le rispettive regole e tradizioni, per quanto bizzarre a volte possano essere.
Kapuscinsky, da straordinario viaggiatore, in questo libro ha descritto con efficacia la dura quotidianità di uomini e donne d'Africa: la scarsità di risorse ed energia, la povertà, la lotta per la sopravvivenza in un clima proibitivo. Emerge la forza di volontà di questa gente, che vive di azioni semplici che finiscono per avere tutte un valore particolare; si tratta di gente che ha imparato a soffrire come nessuna altro su questo Pianeta. Peccato che tale sofferenza invece di unire, spesso ha scagliato le tribù l'una contro l'altra. Il giornalista polacco narra anche il legame profondo che il cuore dell'Africa ha con Madre Terra, il rispetto per gli anziani e per gli antenati, la comprensione che ogni essere vivente è dotato di uno «spirito» e per questo va (andrebbe) rispettato. Solamente abitando nei sobborghi più poveri, rischiando più volte la morte e sobbarcandosi spostamenti assurdi si può descrivere così lucidamente un continente come l'Africa.
Il senso di colpa che questo libro susciterà nel lettore occidentale può essere messo un attimo da parte, ma non eliminato, con un altro racconto di viaggio, totalmente differente nei contenuti ma non per questo meno interessante: in fin dei conti si tratta sempre di scoprire popoli poco conosciuti. Tobia Desalvo ne “Il viaggio con gli stivali” ci porta alle foci del Volga con la motocicletta, attraverso un percorso che occorre seguire sulla cartina, pagina dopo pagina, per meglio comprendere l'escursione.
Ad ogni motociclista errante tornerebbe utile sfogliare l'opera del nostro direttore al fine di intuire come meglio relazionarsi con i forestieri lungo il cammino. La strada percorsa da Tobia in Transalp è piuttosto originale: taglia l'Europa dell'est attraverso Slovenia, Ungheria, Romania, Moldova e Ucraina e, costeggiando il Mar Nero, sguscia in Crimea e finisce quindi a Soci, in Russia, ai piedi del Caucaso.
Le gesta del protagonista non sono eroiche, ma rappresentano comunque il superamento di ostacoli insormontabili per la stragrande maggioranza dei comuni viaggiatori dell'era ryanair: bisogna essere meticolosi nel preparare i documenti prima della partenza, altrimenti la burocrazia dei visti e delle dogane potrebbe creare diversi grattacapi in vacanza. E poi non è affatto facile e scontato prelevare da un bancomat a Chisinau, trovare un alloggio economico a Volgograd o divertirsi a Stavropol. Soprattutto, occorre una sconfinata pazienza per sfuggire alle «trappole» tese dalle forze dell'ordine dell'ex Unione Sovietica nonché, in generale, per convivere con un popolo che ai più può apparire scorbutico.
La lettura scorre velocemente, come la motocicletta di Tobia sugli sterminati nastri d'asfalto della steppa, poiché si raccontano semplici esperienze di viaggio. Non rimane deluso chi si aspetta chissà quali avventure da questa storia: basta che rammenti a se stesso che, ad esempio, non è situazione comune quella di affidarsi a perfetti sconosciuti, sulle rive del Dniestr, parcheggiare la moto, salire sul loro furgone e passare qualche giorno in una realtà famigliare anni luce differente dalla nostra.