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Scritto da nel Numero 89 - 1 Maggio 2012, Politica | 0 commenti

Il mio 25 Aprile

Il 25 Aprile è il più bel regalo ricevuto dai miei nonni.
Ricordo quando da bambino, seduto alle tavole imbandite delle feste o durante i giocosi pomeriggi, mi rendevo conto dai loro racconti di quanto fossi fortunato a vivere la mia infanzia in un Paese libero e in pace. Alla mia stessa età, per me ricca di benessere e giocattoli, loro vivevano con la paura dei bombardamenti, pronti a scappare nel rifugio e ad aspettare che una bomba distruggesse insieme alla casa tutti quei giocattoli di bambino, che per me nato con la pancia piena sembravano la cosa più importante che avessi.
Mi pareva di sentire nelle loro parole la gioia che potessero aver provato quel 25 Aprile riversandosi ad urlare nelle piazze, a sventolare la propria felicità per una guerra davvero superata e una vita restituita alle persone. Finita l'occupazione straniera, grazie alla battaglia congiunta di partigiani e americani, popolazione civile e monarchia, mi sembrava di vedere come tra le macerie dei palazzi un Paese ancora diviso chiedesse pace e tranquillità per partorire la generazione dei miei genitori.
Per questo il 25 Aprile è per me la festa più bella dell'anno, perché durante la guerra c'è davvero poco da festeggiare. Per questo, come il Natale, il 25 Aprile è la festa di tutti, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

L'analisi della Festa della Liberazione, come s'intuisce, è particolarmente complessa. Smaltiti i festeggiamenti, si è passati all'amnistia per i fascisti, si sono vissuti i drammi umani di chi aveva visto gli affetti più cari massacrati dal vicino di casa, si sono gettate le basi di una bellissima Costituzione, si è dato il voto alle donne e si sono formati i grandi partiti popolari. Non voglio scadere nella retorica perché voglio talmente tanto bene a questa festa che non mi perderò in una miopia che faccia finta di vedere i limiti dei processi di liberazione e pacificazione, ma anzi negli anni mi sono sempre arrovellato su come spiegare a tutti che non si può fare a meno di questa celebrazione: mentre la generazione dei miei nonni pian piano scompare, non vorrei mai che con loro scomparisse il più bel regalo ricevuto nell'infanzia e che desidero invece portare ai miei nipoti.

E allora il 25 aprile voglio dedicarlo ai fascisti: a quelli che oggi, grazie alla Liberazione, possono legittimamente attaccare i loro volantini in giro per le piazze, possono suonare la loro musica dove loro pare e piace, possono godere di quei diritti della persona che la nostra Repubblica consente a tutto il Paese. Mi fa ancora più piacere sentire come siano proprio gli entusiasti della dittatura fascista a rivendicare il loro diritto di minoranza ad esprimersi: se sono i fascisti i primi a divertirsi ad usare propagande provocatrici, gli stessi che pur difendendo la propria minoranza spesso ne attaccano altre, non sarò certo io a scandalizzarmi. Anzi mi pare normale.
Viva la Libertà e la Pace, dove la guerra si dissimula con gli strumenti della democrazia. La nostra Repubblica, quella che difendo io, ha talmente ragione da non aver paura né delle normali tendenze giovanili a essere nostalgici per qualcosa che non conoscono, né dei costumi di vita degli immigrati provenienti da Paesi dove la democrazia non c'è. Dove vivo io il 25 Aprile si sta tutti insieme in piazza, a testimoniare come per i valori fondamentali si combatte fianco a fianco tra monarchici e comunisti, si ospitano in casa i ribelli senza paura di rischiare la propria vita in un rastrellamento, e sorrido quando mi accordo che dopo tanti anni i primi a difendere i diritti civili sono, guarda un po', quei fascisti che fino all'ultimo li hanno combattuti. Abbiamo davvero vinto la guerra e fatto la pace.

Per questo sono rimasto male quando sulla Scuola di pace di Montesole (sui monti di Marzabotto dove più efferata è stata la violenza dei nazi-fascisti) ho visto esposta, il giorno della Liberazione, la bandiera dei No-Tav. Non ho capito che cosa c'entrasse: forse che se sono pro Tav sono fuori posto il 25 Aprile? I gentili ragazzi della Scuola, cui ho rappresentato il mio sincero disappunto, mi hanno detto che essendo tutti loro aderenti al Movimento No Tav avevano ritenuto di esporla, perché secondo loro il 25 Aprile non è di tutti (pur ammettendo che io potessi festeggiare pur essendo favorevole all'opera ferroviaria), perché la retorica dell'ANPI non gli piace e bisogna vivere la propria Resistenza quotidianamente. Il che, accompagnato alle parole di Don Gallo che salutava i partigiani del No Tav e del No Dal Molin, mi ha fatto capire quanto io non potessi far altro che sentirmi fuori posto nel celebrare la giornata su quel prato.
E allora perché non sventolare le bandiere della resistenza contro le pedonalizzazioni del centro o contro il tram su rotaia? O le resistenze contro chi vuole impedire le pedonalizzazioni?
I lettori dell'Arengo sanno quanto io ritenga fuori dal diritto costituzionale la Tessera del Tifoso, ma mai mi sognerei di issare quella bandiera il 25 Aprile. Neanche a me piace la retorica, ma non è retorica toccare con mano che cosa voglia dire essere in disaccordo su tutto con un'altra persona, tranne che sul 25 Aprile. O perlomeno non lo è per me, che ho voluto spiegare a questi ragazzi più giovani di me le mie ragioni e ascoltare le loro, nonostante mi abbiano ferito il cuore non sanno nemmeno quanto. Non vedo altro modo per portare le ragioni profonde di questa Festa nel futuro.

Quello che non capisco è come questa possa essere la Festa di chi è contro: oggi che abbiamo vinto la guerra, oggi che, come Togliatti ci ha insegnato, siamo disponibili a deporre le armi e perdonare i fascisti perchè le divisioni di ieri si fermino e da domani tutti insieme si scriva la Costituzione.

Da bambino mi chiedevo come sarebbe mai stato possibile vivere un'altra guerra, tanto era stata violenta e distruttrice la precedente. Adesso vedo e tocco con mano quanto sia facile essere ciechi da non trovare nell'altro ciò che ci accomuna e quanto difficile sia riuscire a ricondurre le differenze ad una discussione in grado di farci diventare grandi tutti insieme e a non ricascare mai più nelle laceranti tragedie del passato.
Sui muri di Salerno qualche tempo fa ho letto una frase che recita “Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzarn
e le sue migliori aspirazioni”. Per questo, credo occorra diventare sufficientemente adulti da capire che la buona parola del nonno che ci sembra retorica in realtà è una saggezza che dobbiamo saperci conquistare.

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