Putin, un uomo solo al comando
E' stato evidenziato da alcuni analisti che Putin avrebbe vinto le elezioni anche senza diverse irregolarità che hanno caratterizzato lo svolgimento delle operazioni di voto e, in generale, affliggono la vita politica russa. I brogli elettorali denunciati dagli osservatori internazionali, il controllo stretto dei media e della televisione statale in particolare e l'aver proibito ad alcuni candidati di presentarsi alle elezioni (come al liberale Gregory Yavlinsky) non hanno influito in maniera decisiva sull'esito del voto: la maggioranza della popolazione crede ancora nell'«uomo forte».
La Russia è uno dei pochi stati, fra le grandi potenze, a poter vantare una crescita economica decisa nell'ultimo triennio. Questa tendenza positiva è fortemente dipendente dagli introiti derivanti dall'esportazione di idrocarburi; fin quando i prezzi di gas e petrolio resteranno così alti, la crescita russa è garantita. Bisogna riconoscere altresì il raggiungimento di alcuni risultati da parte della coppia di comando composta da Putin e Medvedev (indifferentemente posizionati nel ruolo di primo ministro o presidente): la netta diminuzione del tasso di povertà, un miglioramento della qualità dell'istruzione scolastica, la bassa crescita del tasso di disuguaglianza (inferiore per esempio a quello americano), la modernizzazione tecnologica in agricoltura e nuove importanti formule di protezione sociale, sebbene ancora lontane dal welfare europeo.
D'altro canto rimangono inalterate le piaghe che hanno caratterizzato l'era post sovietica, una su tutte la corruzione. Causa e conseguenza di un rilevante deficit democratico, la società russa è permeata da una «corruzione sistematica» che taglia le gambe ad un sano e solido sviluppo economico sostenibile. Anche Putin ha ammesso chiaramente la necessità di una vigorosa lotta alla corruzione, ma nel suo programma elettorale non ha definito modi né tempi. E' molto complicato estirpare un'abitudine diffusa a tutti i livelli burocratici, che ha accompagnato in molti casi l'ascesa al potere economico degli imprenditori rampanti che nell'era eltsiniana hanno comprato a prezzi stracciati asset dello Stato. La maggior parte di questi farà sicuramente parte dei 101 miliardari russi stimati da uno studio di Forbes Insight e Société Générale, pubblicato dal Financial Times; solo Stati Uniti (oltre 400) e Cina (115) sfornano altrettanti ricconi di questa portata.
Il compromesso offerto da Putin al suo popolo, sostanzialmente sviluppo economico e ordine in cambio di libertà, è difficile da scalfire. Il nuovo zar ha sapientemente lavorato negli anni, con diversi provvedimenti legislativi, affinché risulti complicatissima la formazione di un gruppo di potere antagonista a quello esistente e che possa conquistare consensi. L'ascesa di potenziali leader è stata sempre stroncata in maniera più o meno rude e la stampa libera fa una fatica immane ad interpretare il suo ruolo.
Tuttavia la classe media urbana comincia ad essere insofferente nei confronti degli annosi problemi della loro grande nazione. Gruppi di giovani attivisti dei social network sono riusciti ad organizzare manifestazioni di protesta in nome della libertà e della lotta alla corruzione che hanno ottenuto un successo insperato. E anche in occasione delle elezioni la piazza è stata invasa da gente che denunciava i brogli elettorali. Il regime lascia fare, consente le manifestazioni con un grado ridotto di tolleranza, cosicché in queste occasioni la minima illegalità viene punita dai severi poliziotti. Del resto, queste proteste rappresentano una fonte di legittimazione ulteriore per Putin, che dorme sonni tranquilli: non saranno dei giovani borghesi modaioli, figli delle comodità del nuovo benessere, a far vacillare il suo potere coi loro marchingegni elettronici. Il fiero popolo russo, quello delle sterminate aree rurali e della periferia, ha bisogno di scossoni ben più vigorosi per aizzarsi contro la sua guida. Fino ad allora, il nuovo zar resterà serenamente solo al comando.