La severità della recessione
2011 |
2012 |
2013 |
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Scenario 1* |
Scenario 2+ |
Scenario 1* |
Scenario 2+ |
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PIL |
0,4 |
-1,5 |
-1,2 |
0,0 |
0,8 |
Consumi famiglie |
0,4 |
-1,3 |
-1,0 |
-1,1 |
-0,3 |
Investimenti fissi lordi |
-0,4 |
-2,1 |
-2,1 |
-0,2 |
-0,2 |
Spesa pubblica |
-1,0 |
-4,9 |
-3,5 |
0,7 |
4,9 |
Esportazioni |
6,1 |
0,7 |
0,7 |
4,9 |
5,1 |
Importazioni |
0,8 |
-3,0 |
-2,2 |
3,1 |
5,0 |
Variazione scorte |
-1,0 |
-0,4 |
-0,3 |
0,0 |
0,1 |
*scenario 1: spread Btp-Bund a 500 punti base; + scenario 2: spread Btp-Bund a 300 punti base
Fonte: Banca d'Italia
Se il contesto internazionale non ha ancora dato impulsi recessivi, ma solo segnali di rallentamento, il deterioramento dello scenario economico caratterizza particolarmente il Vecchio Continente. Nel 2012 l'area Euro registrerà una riduzione del Pil, ma tale risultato riflette tendenze divaricate tra diversi paesi. Già all'inizio del 2011 si era ampliata la forbice tra i Paesi dell'area Euro – con andamenti eterogenei contraddistinti, da un lato, da zone che presentavano chiari segnali di recupero (nello specifico Germania e Polonia) e, dall'altro, da Paesi con bassi tassi di crescita (particolarmente quelli dell'area mediterranea) -, ma è a partire dall'estate scorsa che emergono diffusi segnali di sfiducia sulle possibilità di recupero di economie periferiche (Grecia, Irlanda e Portogallo), estesi progressivamente a Paesi di maggiore dimensioni (Italia e Spagna).
Nell'ipotesi di raggiungimento dello spread dei titoli di stato italiano su quelli tedeschi a 300 punti base, la variazione negativa del Pil in Italia sarà dell'1,2%. In questo dato si rifletterà il calo della domanda interna (per la prima volta non tengono i consumi delle famiglie, sopratutto a causa del tracollo del potere d'acquisto) e la battuta d'arresto dei beni d'investimento (maggiormente legati alle aspettative e alla fiducia, nonché alle tendenze di restringimento del credito da parte delle banche e all'incapacità di attrarre capitali). In aggiunta, l'indubbia capacità esportativa dell'Italia, evidente anche dall'exploit del commercio estero almeno fino ai primi due trimestri del 2011, dovrà fare i conti con una domanda internazionale meno dinamica (specie per il nostro Paese che esporta ancora più del 70% del prodotto dentro i confini della Comunità Europea).
In un quadro evolutivo dove le avvisaglie di rallentamento vengono per la prima volta dalle “tigri” asiatiche e i segnali di ripresa dagli Stati Uniti risultano ancora “sottotono”, non è tanto in discussione se ci sarà o meno la recessione, ma quanto possa essere e quanto possa pesare a lungo sulle famiglie e imprese, in un momento storico in cui si fatica a trovare un efficace punto di sintesi tra rigore nelle finanze pubbliche (per evitare l'aggravarsi di squilibri già pesanti) ed efficaci ricette per stimolare rapidamente la crescita (condizione indispensabile per il ritorno a una situazione sostenibile di equilibrio finanziario). Tra gli economisti è abbastanza condiviso il pensiero secondo cui la recessione in atto sarà più “severa” del “biennio nero” 2008-2009. Sia perché viene da una “ripresina” breve e insufficiente, che non ha ancora consentito il recupero dei livelli pre-crisi, sia perché tra l'estate e l'autunno dello scorso anno il contesto (in riferimento alla coesione sociale e agli stringenti vincoli finanziari) risulta maggiormente deteriorato rispetto al 2008.
Com'è ovvio, la fase recessiva verso cui si sta avviando l'economia italiana impatterà negativamente sulle attività economiche regionali nel 2012: solo la Lombardia e l'Emilia Romagna registreranno una sostanziale tenuta del Pil, mentre subiranno esiti più penalizzanti le più fragili economie meridionali. Come spesso accade durante gli shock negativi, la forbice tra Nord e Sud del Paese sarà ampliata ulteriormente da una diversa andatura delle regioni, con quelle centrali interessate ad essere trainate dai sistemi produttivi virtuosi e maggiormente connessi con il mercato internazionale.
Nella tradizionale lettura delle sole variabili economiche (export, investimenti, lavoro) forse non siamo ancora alla “disperazione”. Cala la produzione industriale, ma il valore aggiunto resta stabile. C'è ancora una buona natalità delle imprese, anche se queste poi non si ingrandiscono. Cresce lo “scoraggiamento” giovanile, ma la disoccupazione non supera ancora la soglia critica. L'innovazione si fa sempre più altrove, ma l'industria reagisce bene alla competizione internazionale. Le prospettive demografiche ed energetiche risultano migliori delle aspettative formulate negli anni scorsi. Basta, però, introdurre alcune variabili sociali (povertà, diseguaglianza, qualità della vita) per passare dalla “paura” alla “angoscia”.
Non c'è più spazio per sofismi legati alle dicotomie crescita o sviluppo, piccolo o grande, esclusione o inclusione. Occorre avere a cuore le sorti di uno sviluppo “rischiato” e “condiviso”, che selezioni alcune traiettorie, generalizzi alcune microesperienze di successo e non abbia l'ansia di raccogliere i frutti nel brevissimo termine.