Investire, con gusto
L'investimento in arte è diventato un fenomeno mondiale tipico delle economie sviluppate, anche se ha trovato un'accoglienza migliore nei Paesi anglosassoni, e solo recentemente in Europa continentale e nei Paesi emergenti (specie orientali), soprattutto in riferimento alla fascia di clientela private. Ma ci si chiede ci si chiede se un maggiore legame con la finanza rischia di mettere in pericolo la creatività e l'estetica, e dunque il vero spirito del collezionismo.
Nella consapevolezza che la motivazione intrinseca che spinge gli operatori a detenere beni artistici è solo parzialmente legata alla ricerca di un “dividendo economico” e maggiormente riconducibile alla fruizione di un “dividendo estetico”, non c'è da meravigliarsi che esista comunque un rapporto sempre più stretto tra arte e denaro che, come peraltro insegna la storia dell'arte, è un legame antico.
Tra i possibili asset d'investimento, almeno sul piano teorico, quello in arte nel suo complesso sta mostrando buoni risultati in termini di rischio e rendimento, nonostante il settore risulti ancora troppo sottile e frammentato. In linea generale, come si evince dall'analisi dell'andamento dei principali indici del mercato dell'arte e del mercato finanziario, l'investimento in arte batte quasi sempre quello in azioni, ma non riesce a sostenere il passo dell'oro.
Infatti, con riferimento al mercato italiano, è da sottolineare sia la marcata differenza con il rendimento atteso sul mercato internazionale, sia il divario tra l'andamento del comparto dell'arte moderna rispetto a quella contemporanea.
A partire dal 1995, l'investimento in opere d'arte scambiate a livello internazionale ha restituito un rendimento medio annuale del 2,13%, non elevato se comparato ai tassi di crescita fatti segnare dagli altri asset d'investimento (2,57% della Borsa statunitense e 4,06% del contratto derivato sull'oro quotato a New York), ma comunque sempre capace di garantire una protezione dall'inflazione lungo tutto il periodo. Paradossalmente, nell'ultimo lustro – che comprende il “biennio nero” 2008-2009 ed il recente peggioramento congiunturale segnalato nello scenario macroeconomico – il mercato internazionale dell'arte ha garantito un ritorno medio annuale superiore e pari al 2,32%, anche a fronte di un +1,49% di rendimento medio registrato dai depositi a termine.
Significativa, inoltre, è la differenza di comportamento nel mercato italiano tra i due comparti dell'arte moderna e contemporanea, sia nel lungo periodo sia in relazione alla recente crisi economica. Il segmento dell'arte contemporanea è cresciuto molto velocemente nel 1995-2011, con un tasso di rendimento medio annuale del 4,65% (superiore al 4,06% registrato dall'oro), ma ha anche dimostrato di reggere meglio il colpo assestato dalla crisi, restituendo agli investitori-collezionisti un +3,39% all'anno a partire dal 2006. Una rara protezione di valore rispetto all'acquisto di nuove abitazioni situate nelle grandi città italiane (+1,68% all'anno), opere d'arte moderna (+0,78% all'anno) e titoli del listino azionario di Piazza Affari (+0,69%).
Almeno in Italia, la deriva di finanziarizzazione del settore è un falso problema. Piuttosto preoccupante è, invece, il diffuso lassismo nei confronti dell'assenza di una seria politica culturale che restituisca al contempo autodeterminazione di chi produce un'opera d'arte, passione di chi conserva e valorizza beni culturali e interesse di chi scambia beni artistici sul mercato.