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Scritto da nel Numero 85 - 1 Dicembre 2011, Politica | 0 commenti

The pursuit of happiness

La Repubblica Italiana vive oggi una situazione che assomma una serie di paradossi politici. Il parlamento è composto di membri non liberamente scelti dall'elettorato, che pure nel 2008 aveva chiaramente indicato chi avrebbe dovuto legiferare ed esprimere un governo da sostenere nel corso della sua azione. La scelta di parte dell'ultima consultazione nazionale era l'unica cosa certa e legittima di quel voto, viziato da una legge elettorale ignobile.
È esercizio di poca difficoltà argomentare il fallimento di un governo composto di figure non all'altezza e di un presidente che si è comportato da autocrate e da uomo spregiudicato negli affari e impudico nei costumi, inadatti a renderlo portavoce del paese (“I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”, Costituzione, articolo 54); ma ciò non deve indurre al pericoloso ragionamento per cui è meglio chiunque altro, almeno ce ne siamo liberati.
Lo mostra un altro paradosso, per cui in questi giorni Mario Monti annuncia che il suo governo scriverà provvedimenti basati sul principio dell'equità. Un governo di ambasciatori del mondo della grande finanza dovrebbe essere, parola del presidente, il governo dell'equità. Come si può non essere scettici? Come si può credere che ci sarà equità quando uno dei collaboratori più stretti del professor Monti, il dottor Corrado Passera, si è svegliato la mattina dello scorso 16 novembre come amministratore delegato di Intesa San Paolo ed è andato a dormire la stessa sera come triministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti?
Tralasciando l'origine della crisi (sta agli economisti spiegarci l'effettiva origine del disastro economico e finanziario che deprime gran parte del continente – e del mondo) e le polemiche sul governo dei poteri forti, mi sento di poter credere alle ragioni del prestigio di Mario Monti, il cui fare compassato certo non mi turba ma nemmeno mi rassicura; in ogni caso non c'è alternativa, dato che i rappresentanti di tre quarti dell'elettorato nazionale lo sostengono. E sento di poter essere d'accordo con buona parte di quello che ha detto rivolgendosi alla Camera dei Deputati, ammesso che poi agisca coerentemente con quanto annunciato.
Mi è piaciuto sentir usare la parola talento, e mi piace pensare che uomini di governo così avvezzi al potere della ricchezza vogliano ricordare come tante preziose opere del Rinascimento siano state finanziate dai quattrini che scorrevano nei forzieri dei signori, e delle prime banche moderne, a cavallo fra il Quattrocento e il Cinquecento (interessante a tal riguardo la mostra “Denaro e Bellezza” che si tiene al Palazzo Strozzi di Firenze fino al 22 gennaio). C'è dunque da augurarsi che un nuovo grande pittore possa presto dipingere un'Italia diversa, moderna, aperta e rispettabile; ma vorrei che questo paese si facesse nuovamente rispettare all'estero non per le possibilità d'investimento e di guadagno che offre ai grandi gruppi di speculazione, ovvero non vorrei che l'acclamazione venisse dai colleghi esteri di questi supermanager. Vorrei invece che fossero le genti ad applaudire il mio paese, a riverire un nuovo patto di giustizia sociale, garanzie di diritto, affidabili sistemi sanitari e scolastici.
Disgraziatamente, dubito che ciò avvenga. Le carte fondamentali europee prendono spunto dalla dichiarazione francese del 1789, che a sua volta prende spunto da quella d'indipendenza americana del 1776; una carta che parla proprio del diritto del popolo di decidere quale governo possa meglio servire i suoi interessi. Fra cui, udite udite, spicca la felicità. E c'è forse felicità in uno stato di doppia privazione della libertà di decidere chi fa le leggi, prima in nome di un regolamento elettorale abietto, poi in nome di una crisi che oggi vede paziente e medico riuniti nella stessa figura?
Riflessione interrogativa: qualcuno crede possibile che i cittadini americani accetterebbero un cosiddetto governo tecnico? Ma già, non hanno mai corso il pericolo. Perché da quel famoso 4 luglio c'è una carta che parla chiaro, e assicura loro la garanzia che chi li rappresenta lavora in loro vece.
In quel paese, contestare quella carta vuol dire tradire lo Stato. Da noi?

***

“Noi riteniamo che queste verità siano evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che fra questi ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità – che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i governi, che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati, che ogni volta in cui una forma di governo diventa deleteria per tali fini, è diritto del popolo modificarla o distruggerla, e istituire un nuovo governo, che ponga le sue fondamenta su tali principi, e organizzi i suoi poteri nella forma che a loro possa sembrare più promettente per portare alla loro sicurezza e felicità”.
Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, Filadelfia, 4 luglio 1776

“La sovranità appartiene al popolo”.
Costituzione della Repubblica Italiana, Roma, 27 dicembre 1947

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