Le rivoluzioni digitali pubbliche senza pregiudiali private
Sbaglia chi crede che oggi non ci sia una dotazione informatica sufficiente nella Pubblica Amministrazione, il salto da fare non è nell’hardware o software, ma nella strategia di valorizzazione dell’ingente patrimonio informativo pubblico. È questo il messaggio di fondo del secondo Rapporto Nomisma sulla Business Intelligence nella Pubblica Amministrazione, realizzato insieme a Iconsulting e DigitPA.
La Pubblica Amministrazione Centrale e gli enti pubblici (in particolare gli enti previdenziali) hanno investito nel corso degli ultimi dieci anni, in media, non meno di 2 miliardi di euro all’anno nel proseguimento e nello sviluppo dell’informatica pubblica, sia come traino delle direttrici innovative sia come regolazione degli standard tecnici e organizzativi di tutta la Pubblica Amministrazione. Stando alle stime Eu Klems-Eurostat, la formazione (lorda) di capitale del settore pubblico (comprendente le amministrazioni pubbliche e il comparto dell’assicurazione sociale obbligatoria) in attività collegate alle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (ICT) è cresciuta di un fattore moltiplicativo pari a 15 tra il 1990 e il 2007, a fronte di un’evoluzione sostanzialmente stagnante degli impieghi in beni capitale diversi dalle ICT. Tra le varie tipologie di investimento nelle nuove tecnologie, la parte del leone è stata svolta dagli acquisti di hardware: gli investimenti in computer sono aumentati di 50 volte tra il 1990 e il 2007, distanziando nettamente quelli in attrezzature per la comunicazione (pur incrementatisi in misura apprezzabile, +180%) e gli acquisti di software (+55%). Questi ultimi avrebbero avuto un rallentamento proprio nei recenti anni, quando la dinamica si sarebbe quasi fermata dopo gli investimenti effettuati nel decennio precedente (+0,2% all’anno tra il 2000 e il 2007, contro il +4,5% all’anno sperimentato tra il 1990 e il 2000). Ne esce in definitiva un quadro di uno sforzo di ammodernamento tecnologico significativo, influenzato probabilmente anche dai bassi livelli di partenza, concentrato soprattutto sulle strutture hardware e con una progressiva decelerazione, nel più recente periodo, sulla componente software.
La stima della spesa informatica complessiva è ottenuta sommando la spesa esterna (per l’acquisizione di beni e servizi) ai costi interni (rappresentati dal solo personale ICT). I costi interni, che nel 2010 costituiscono il 21,9% della spesa informatica complessiva (27,3% nelle amministrazioni centrali e 10,3% negli enti), diminuiscono dello 0,8% rispetto al 2009 (in valore assoluto circa 3,7 milioni di euro). La spesa esterna, che rappresenta il restante 78,1% della spesa informatica complessiva (72,7% nelle amministrazioni centrali e 89,7 negli enti), si riduce dell’1,9% rispetto a quella del 2009 (in valore assoluto circa 32,2 milioni di euro). Assistiamo, cioè, ad una leggera contrazione sulle stime di spesa e ad un sostanziale mantenimento dei costi interni. Questo dato non solo è confortante ma, nello scenario attuale, appare come una solida dimostrazione dell’interesse e della centralità delle spese per beni e servizi del settore ICT.
Tutti questi investimenti consentono di raccogliere e produrre una grande mole di dati in tempo reale, ma rischiano di diventare una bomba ad orologeria se ad essa non viene associata una cultura di utilizzo pubblico e una strategia di valorizzazione economica. Le principali banche dati su cui si stanno concentrando le azioni, centrali o locali, centralizzate o federate, a favore di una maggiore disponibilità e di una migliore interoperabilità, sono quelle riferite alle anagrafi della popolazione, alle basi territoriali, al catasto e alla fiscalità. Complessivamente, ad oggi, sono da mettere a sistema circa 1.400 basi di dati pubbliche, differenti non tanto per contenuto o per piattaforma software quanto per “pulizia” del dato, per costruzione dello schema logico che sottende alla fruizione dei dati, forse anche per ambizione della singola amministrazione. La massa di informazioni contenute nelle circa 1.400 basi di dati pubbliche non solo è in crescita ma soprattutto ha raggiunto dimensioni notevolissime (circa mezzo milione di gigabyte). Non sorprende il numero assoluto, quanto l’incremento del 7% tra il 2009 e il 2010, al netto delle inevitabili pulizie di informazioni ridondanti o inesatte. La sfida di passare dalla produzione di dati “grezzi” alla generazione di informazioni “intelligenti” richiede nuove linee di approccio agli investimenti in ICT e la conseguenza necessaria è la grande attenzione, nell’ambito dei pacchetti applicativi, ai prodotti e servizi legati alla business intelligence. Ovvero quell’insieme delle metodologie e tecno¬logie informatiche utili a trasformare i dati grezzi, a disposizione dell’ente e contenuti nei sistemi informativi gestionali, in informazioni a supporto delle decisioni. Il mercato potenziale di tali soluzioni nel settore pubblico può essere stimato in non meno di 300-350 milioni di euro per i prossimi tre anni. Tuttavia, non bastano le risorse in assenza di una strategia, di una logica di mercato aperta nei dati, nei formati, nella leggibilità delle informazioni.