Internet ai tempi di Scienze della Comunicazione
Ho studiato Scienze della Comunicazione.
Sì, davvero.
Internet? E’ uno strumento che devo conoscere e saper usare.
I social network? Sono su Facebook, Twitter, Friendfeed e Linkedin.
Con Internet ho: trovato lavoro, promosso cose che faccio e che mi piacciono, scoperto il significato della parola ‘serendipità’ e l’anno di nascita di Pippo Baudo (il 1936), scritto una – anzi due – tesi di laurea, cercato di comprare un biglietto Trenitalia (mai riuscita), comprato molti biglietti Ryanair, trovato una bici usata, letto ecologissimi PDF, pagato bollette e prenotato concerti.
Su Internet non ho: mai scritto i miei pensieri più intimi, mai pubblicizzato la mia situazione sentimentale, mai pubblicato foto in costume delle vacanze in Grecia, mai pubblicato foto di gatti, mai fatto spam, mai aperto un’e-mail delle Poste perché so che le e-mail delle Poste sono virus, mai scritto ‘fiquissimo’ e soprattutto mai pubblicato una citazione di Fabio Volo.
Internet è un mezzo, non un fine. Osannato e snobbato, non merita a mio parere né elogi né critiche immotivate. E’ l’eterna lotta tra i cyber-optimists e i cyber-pessimists. Io sto nel mezzo. Quello che penso è riassumibile in due concetti semplici:
1. Internet è una grande risorsa. Averlo è meglio che non averlo. Ampi divari digitali si sono creati nell’ultimo decennio tra paesi industrializzati e in via di sviluppo. Così anche all’interno del nostro cosiddetto primo mondo: maschi contro femmine, giovani contro anziani, laureati contro diplomati. Divari sociali e digitali che, quando ignorati, tendono ad alimentarsi a vicenda e farsi sempre più profondi. E’ il primo livello del cosiddetto digital divide.
Diversi paesi hanno già riconosciuto ai cittadini l’accesso a Internet come diritto fondamentale: in costituzione (Estonia, Grecia, Ecuador), per decisione di organi costituzionali (il Conseil Constitutionnel francese), con legislazione ordinaria (Finlandia). Io sono a favore di questo diritto.
2. Avere Internet non basta: va saputo usare. Quello delle differenze nell’uso del web è il secondo e più complesso step del digital divide. Ciò che fa la differenza affinché i nostri pre-adolescenti non si espongano ai rischi della privacy, affinché noi stessi sappiamo distinguere cosa è vantaggioso e cosa dannoso alla nostra web reputation, affinché la si smetta di schierarci in fazioni contrapposte di fanatici e scettici che si scannano sulla base di credenze diffuse e senza fondamenta, è una cultura condivisa sull’uso della rete. Internet non si può ignorare, così come non si può ignorare un coinquilino antipatico: meglio provare a dialogarci. Formazione e conoscenza: capire come funzionano i motori di ricerca, i meccanismi della privacy, l’informazione con e senza filtri, i social network, imparare a usarli e insegnarlo ai nostri figli, anziché averne paura.
In poche parole, Internet è un bene relativo: lo è nel momento in cui la più larga fetta possibile di noi è messa in condizione di usarlo ma soprattutto è in grado di usarlo consapevolmente.
Ve lo dice una che lo usa perché ha studiato. Scienze della Comunicazione.
E ora, vado a leggermi un libro, che a me ‘sti e-book non piacciono proprio.