Manovra di risanamento: era meglio se andava peggio?
Il proverbio cinese tocca però un primo punto doloroso: tu non sai perché. Per essere precisi, lavoratori e disoccupati i propri perché li conoscono benissimo. La sciagura è però che i rappresentanti politici e sindacali, coloro che dovrebbero metabolizzare le richieste 'grezze' per trasformarle in strategie politiche compiute, non sanno a favore di cosa utilizzare il malcontento. La diga del 'niet' non è più in grado di contenere alcuna piena. Nelle condizioni attuali l'esistente è semplicemente indifendibile. Questo Paese ha un orizzonte solo avrà coraggio di rischiare: dismettere delle cose e costruirne di altre, in vista di benefici futuri. Due esempi?
Il sistema pensionistico italiano è il più espanso di tutti i Paesi OCSE. La figura in basso è lampante: il pilastro pubblico assorbe il 16% del PIL in Italia (circa il 50% delle uscite correnti del bilancio statale). Livelli simili e comunque inferiori li hanno solo Austria, Svezia e Francia, con condizioni di PIL e debito chiaramente diverse dalle nostre. Una delle principali ragioni per cui le pensioni sono un tema delicato in Italia è che solo il 20% di queste supera i 1,000 euro mensili . Se si guarda però nelle pieghe del sistema, mentre la pensione media dei lavoratori dipendenti si aggira intorno ai 13,500 euro l'anno, quella degli ex dipendenti ENEL (ad esempio) è di 28,800, del personale di volo (leggi Alitalia) 52,400, degli ex dirigenti privati 55,719 [rapporto INPS 2011]. Senza contare le relative reversibilità e gli abusi delle invalidità civili. I mostri dell'ex sistema retributivo li pagano i lavoratori attuali, con i loro salari fermi da anni e le loro Gestioni Separate. Cosa significa 'non si toccano le pensioni'? Si toccano, eccome. Si toccano però quelle giuste. Si tassano maggiormente, ad esempio, quelle sopra i 5,000 euro mensili. O si elimina la tredicesima per queste. I proventi si reinvestono nell'educazione secondaria superiore e universitaria. O si comincia a bilanciare lo squilibrio tra spesa pensionistica e spesa per la disoccupazione. In Italia, questo equilibrio è inchiodato a 50,8% vs. 2% della spesa totale per il welfare. Lo stesso rapporto in Germania è 36,5 e 6,3; in Spagna 38,7 e 12,5. Se 'patto intergenerazionale' deve essere, patto intergenerazionale sia. Ma senza ipocrisie, cari compagni.
Diciamolo poi una volta per tutte: l'articolo 18 non è sinonimo di impossibilità di licenziare. E' sinonimo di potere di veto del sindacato nell'interferire coi licenziamenti. Se causa o motivo del licenziamento individuale sono giustificati, il lavoratore viene licenziato senza troppi convenevoli. Ancora peggio per i contratti a termine e le collaborazioni a progetto, per giunta esclusi de facto o de jure dai sussidi di disoccupazione. Al sindacato la possibilità di usare le proprie risorse per contestare il licenziamento in tribunale. Senza certezza né della presenza effettiva del sindacato e della qualità del suo impegno nel caso individuale, né dell'esito della sentenza. Proposte di rendere automatica la compensazione monetaria per il lavoratore in caso di licenziamento – rinunciando, non necessariamente in modo totale, al diritto al reintegro – rimbalzano indietro come anatemi. Perché porterebbero una forte diminuzione del potere di veto del sindacato, intrinseca identificazione di garanzia di giustizia sociale. Anche se in gran parte dei nuovi settori del terziario – per carenze organizzative e oggettive difficoltà di reclutamento – il sindacato non c'è o è estremamente debole. Le asperità della regolamentazione dei licenziamenti sono tremende, ma bisogna affrontarle. Perché l'articolo 18, alla maggioranza dei lavoratori italiani, non serve più. Serve al sindacato per sopperire alle sue difficoltà di efficacia nel XXI secolo. Un problema gravissimo quello di rifondare la funzionalità del sindacato nell'economia moderna, ma che non possono pagare i lavoratori, men che meno i disoccupati.
Berlusconi sa i perché dello sciopero. Paradossale per chi su questi due aspetti, come su altri, ha scelto di non scegliere: alzare l'età pensionabile delle donne, lasciando inalterato ogni elefantismo del sistema pensionistico; delegare alla contrattazione aziendale la deroga all'art. 18, una sorta di licenziamento à la carte peraltro rinculato con l'accordo di Confindustria e sindacati. Appunto. Ha fatto l'esatto contrario di quel che è lecito aspettarsi da un governo di centro-destra: sfidare muscolarmente gli interessi arroccati e immettere dinamismo nell'economia. Da un governo conservatore non c'è da attendersi giustizia sociale bensì un'idea di mercato. La manovra estiva non ha perseguito né l'una né l'altra, preferendo uno status quo che perpetua gli squilibri sociali esistenti deprimendo per di più le prospettive future: una manovra culona (talmente pesante da rendere svogliato qualsiasi tipo di movimento economico) e inchiavabile (non credibile né per gli osservatori esteri né per gli Italiani), come la definiscono a Oxford. Sarebbe stato probabilmente meglio se fosse andata peggio: se il governo di centro-destra avesse interpretato il suo ruolo naturale e perseguito le idee di riforma che da almeno un decennio coltiva nel sottobosco. Almeno avremmo avuto un ragionevole motivo per protestare.