Ritornare nelle piazze per riscoprire la nostra identità
Prima c'erano le piazze minoiche ai tempi di Creta, dopo arrivò l'agorà greca come centro della polis, invece, nel medioevo, in numerosi comuni italiani, c'era l'arengo dove si riuniva la cittadinanza e adesso ci sono i centri commerciali, punto di incontro di ogni generazione.
La piazza termina il suo percorso di incontro e scambio di opinioni ma mantiene il suo fascino turistico nelle grandi città.
Non si usa più fare le manifestazioni in piazza per difendere i propri diritti, quei pochi che le fanno sono sempre più pochi e, quindi, non viene più utilizzata la frase: “scendere in piazza” o comunque, se viene utilizzata, ha di certo perso il suo significato originale.
I bambini non vanno più in piazza a giocare a pallone, i genitori rimpiangono quei tempi e permettono ai loro figli di rimbambirsi di fronte ad uno schermo che spara il luccichio fosforescente di minuscoli punti.
È finito il tempo in cui i pensatori, attuando il discorso peripatetico cioè il discutere passeggiando, si incontravano nelle piazze per partorire le loro migliori idee. Adesso ci si incontra nei “non luoghi”, citando l'antropologo francese Marc Augé, spazi che non hanno identità, che non hanno alcuna storia da raccontare, che non suscitano nessuna forte emozione, che lasciano sempre di più i “luoghi” deserti.
I non luoghi, come ad esempio i centri commerciali, sono gli spazi dove, al giorno d'oggi, passiamo la maggior parte del nostro tempo libero e non solo, dove incontriamo intere famiglie, gruppi di giovani, persone anziane, tutte quante che si fanno cullare da luci, suoni e mix di colori, che li fanno sognare per una manciata di minuti. All'interno di alcuni di questi spazi, abbiamo tutto a portata di mano: la televisione a schermo gigante che trasmette la partita, un film, un cartone animato o collegata ad una console di giochi; la poltrona che fa i massaggi; l'aria condizionata calda o fredda a seconda delle stagioni; il pranzo o la cena senza tornare a casa a cucinare, apparecchiare e lavare i piatti; lo spazio per far giocare i bambini; ecc. Troviamo individui intenti solo a scovare la miglior offerta, osservando solo il prodotto e non curanti delle persone che stanno intorno, che schivano o sorpassano abilmente.
È tutto lì, quindi perché perdere tempo ad andare a passeggiare in una piazza che offre sempre lo stesso panorama, senza nessuna attrattiva? Perché molti comuni spendono soldi e perdono tempo a costruire piazze, immortalandole in cartoline come monumenti nazionali, dove si evince solo una struttura piena di cemento totalmente deserta?
Investire in una piazza è molto rischioso ma, a volte, è un rischio che bisogna correre per il bene del proprio paese, per la sua identità, per la sua cultura, per la sua formazione. Quindi è un bene costruire le piazze, soprattutto dove non ci stanno, ma è un male lasciarle come trionfo del proprio egocentrismo e in balia della corrosione del tempo.
La bellezza di stare in una piazza ricca di storia è un'emozione indescrivibile, sapere che nello stesso luogo, molto tempo prima, è avvenuto qualcosa che ha segnato un' intera popolazione, è un privilegio di pochi, con le parole di Hume: “La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva”.
Alcuni comuni, a passo con i tempi, hanno inserito nelle loro piazze il wi-fi gratuito per richiamare la gente, soprattutto adesso con l'avvento del social network dove le persone preferiscono starsene comodamente nella propria stanza e magari chattare anche con il vicino. Con questo acuto sistema si è riusciti a sradicare un po' di gente da casa raccogliendoli in piazza, dove non ci si collega solo ad internet ma anche ci si incontra con altre persone in maniera diretta e si può scambiare quattro chiacchiere, non solo virtuali, riscoprendo la piazza come punto di riferimento per incontrarsi dopo aversi dato appuntamento in chat.
Sta, ormai, nella lungimiranza attiva, concreta e non solo passiva delle chiacchiere, saper attrarre le persone nelle piazze, strappandole dai non luoghi che ormai hanno la maggiore. Bisogna far riscoprire nelle piazze i valori originali di un tempo, invogliando le persone ad intrecciare relazioni faccia a faccia, curandosi non solo dell'aspetto estetico ma anche di cosa c'è oltre.
Nelle piazze si rimarca la forza della comunicazione diretta, la somma tra informazione ed emozione, ci si sente valorizzati anche se si sta in silenzio, perché, a volte, nelle altre persone e nell'ambiente che c'è intorno, troviamo le parole che ci appartengono, attraverso immagini, suoni, colori, frasi.
Nelle piazze ci possono anche essere le discussioni più ferventi (ed è anche bene che ci siano perché non tutti la pensiamo allo stesso modo), dove si dà vita a più pensieri molto forti e contrastanti, espressi liberamente, considerando sempre il principio democratico.
Far ritornare nelle piazze quello che i latini chiamavano “genius loci”, cioè far emergere in quel determinato luogo una forte identità, un carattere indissolubile che si tramanderà di generazione in generazione, ecco il vero segreto. Tutto questo si può fare tramite sapienti manifestazioni, dibattiti, seminari, convegni, dove far nascere e sviluppare la forma mentis umana, dove promuovere le antiche tradizioni, facendole rivivere riproponendole anno per anno, senza perdere l'entusiasmo e la passione nel tramandarle.
Nelle piazze si può promuovere non solo l'educazione formale (pratica molto in uso nelle scuole), dove si impara senza interagire, ma anche l'educazione informale, dove si impara interagendo, attraverso l'esperienza diretta, la consapevolezza delle proprie potenzialità, il mettersi in gioco esprimendo le proprie idee e confrontandole con quelle di altre persone.
Per chiudere questo articolo, voglio citare una parte del testo della canzone “C'è solo la strada” di Gaber, che credo possa rafforzare tutto quello che ho scritto sopra:
C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza,
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.