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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 80 - 1 Giugno 2011 | 0 commenti

Pop-trash-ballade

Tentativo di tradurre il comprensibile.
L'idea di partenza è quella di vedere uno spettacolo di danza, ma sul palcoscenico giacciono, ancor prima che le danze inizino, nella penombra di un palco rischiarato solo dalla platea, una batteria acustica, una tastiera, un portatile, qualche campionatore ed in seguito un violino: troppo delicato ed incline alla simbiosi per affrontare solo il palcoscenico.

Lo spettacolo che andrà in scena in un teatro qualunque di una grande città è “Elsewhere” di Costanza Macras, coreografa di origine argentina.

Non siamo in nessun luogo ma contemporaneamente in tutte le grandi metropoli del mondo.
I ballerini-attori raccontano stereotipi di storie di uomini e donne qualunque che vivono il loro individuale qualunquismo in una totale schizofrenia che mescola il patetismo alla tristezza.

Un uomo dal colore della pelle marrone-chiaro narra la perpetua non perfetta congruenza del suo colore alle varie situazioni, in vari luoghi: sempre troppo tendente nella direzione sbagliata.
Una ragazza coreana canta in inglese dall'alto di un grattacielo la speranza che un giorno tutto il mondo possa parlare la sua lingua materna. Infantile-trash-tenerezza.
Bulimia.
Lo sguardo di un occidentale in un paese povero.
Una ragazza mangia patatine seduta su un muretto e pensa in silenzio.
“Sclero” da attesa in aeroporto.
Gente che vuol vivere d'arte.
Gente di strada.
Sesso.
Sesso.
Sesso.
Erotismo ed edonismo, in tutte le sue varianti, come compensazione all'insoddisfazione ed alla solitudine.
Tutti i ballerini danzano in solitudine la loro disperazione e tentano invano di arrivare all'estasi.
Ma l'apparenza è che questa venga raggiunta solo nell'atto sessuale, unico momento di condivisione e d'appagamento collettivo.

L'edonismo è così forte che si riflette anche sugli oggetti. I ballerini si travestono da cose e placano momentaneamente la loro danza tormentata e masochista nella quiete apparente dell'inorganico.
Solo un'attrice-ballerina mantiene una sembianza umana sulla scena: rientrata nel suo appartamento parla con i suoi oggetti, strusciandosi contro la materia.
Le conversazioni sfociano nel grottesco. Le lingue s'intrecciano:
Inglese-tedesco-portoghese-coreano-versi/borbottamenti.

Scenografia in-formazione: grandi blocchi removibili ove passeggiare, arrampicarsi, schiantarsi; una specie di nave/camera da letto che si gonfia a metà spettacolo dove sono adagiate all'interno due persone (l'una in posizione verticale, l'altra in posizione orizzontale) ed uno schermo dove qua e là viene proiettato qualcosa (marginale rilevanza). Musica suonata rigorosamente dal vivo.

Il risultato è un tentativo di un'opera totale in chiave contemporanea.
Abbondantemente trash nel suo stampo, ma nella frivolezza delle sue storie si nascondono grinze che si protraggono in profondità.

Per chi ama i sapori amari, comici e trash della vita e non si spaventa della mancanza di un lieto fine, ma masochisticamente riesce ad apprezzare lo stato di triste insoddisfazione che gli rimarrà appiccicato per una buona mezz'ora.

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