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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 78 - 1 Aprile 2011 | 0 commenti

“Sogno o son desto?” Il paradosso della coscienza

E' molto diffusa l'opinione che in una società dallo stile di vita accelerato come quella odierna, si tenda d'altro canto a trascurare l'importanza di alcuni tasselli mancanti che aiutano a costituire la nostra integrità personale, come ad esempio il tempo libero passato con noi stessi, a favore di azioni che portino a necessari risultati concreti. Vero è che sicuramente nell'occidente contemporaneo non è riconosciuta come in molte parti del mondo la necessità di prendere contatto con quelle parti più recondite di noi stessi che, correndo quotidianamente da una metro a un tram, non abbiamo nè il tempo nè le energie di affrontare. Così a volte accade che la sera arriviamo a casa tardi e ci rimane a malapena il tempo di cucinare, stravolti ci buttiamo in un sonno ristoratore nell'attesa della giornata seguente, con il suo carico di impegni scanditi da ritmi serrati. Il giorno dopo, ci svegliamo un po' disorientati sforzandoci di uscire da quel mondo ovattato per ricominciare una serie di azioni. Di quel tempo passato immobili, diciamo pure tempo perso, non rimane che un pallido ricordo e a volte nemmeno quello.


“Quando sogniamo correttamente è come se le nostre vite si duplicassero: invece di vivere un centinaio d'anni ne vivremo duecento”
-Buddista Tibetano Tarthang Tulku.



La scienza ci dice che quando dormiamo, mentre il corpo riposa, la psiche elabora e mette insieme frammenti di vissuto interiore. Dunque c'è vita nel sonno, una “vita” indispensabile seppur ben diversa da quella della veglia. Ma è pur sempre qualcosa in cui la nostra partecipazione sembrerebbe non essere richiesta. Non richiesta, ma possibile. Pratiche attuate da secoli e prove sperimentali degli ultimi anni ci forniscono un punto di vista interessante: la possibilità di uno stato di piena coscienza durante il sonno e l'opportunità di manipolare i propri sogni con la volontà.
Il paradosso dei sogni “lucidi” è un argomento controverso e affascinante. Paradosso perché parte dal presupposto che la consapevolezza, da noi normalmente associata con la veglia, aumenti proporzionalmente anche con l'innescarsi dello stato di sogno. La presunta veridicità di un contatto tra dimensione onirica e reale venne accertata dagli esperimenti che svolsero l'inglese Worsley e l'americano Laberge. Questi studiosi, una volta addormentati, segnalarono di essere pienamente consapevoli durante la fase REM, così da poter comunicare con soggetti esterni tramite movimenti oculari. Da allora l'ipotesi non è mai stata smentita: con un opportuno allenamento, siamo davvero tutti potenzialmente in grado di percepire i sogni non più come confusi e spezzettati, ma come una narrazione fluida e lineare, sebbene connessi da una logica che non è quella “diurna” , basata sostanzialmente su fenomeni reali.
Durante un “sogno lucido” le azioni si svolgono su un palcoscenico creato lì per lì dalla nostra mente che riuscirebbe a essere parzialmente attiva. Spesso le modalità di spostamento sono in grado di coprire vasti spazi virtuali in pochi secondi, possiamo avere una percezione di noi stessi non materiale, come se venissero meno i limiti della corporeità che ci contraddistinguono nella veglia, ma sempre percependo il tutto in modo chiaro e distinto. Insomma, non più i vaghi ricordi rammendati da ipotesi, o costellati di dettagli apparente insensati e tragicamente sconnessi l'uno dall'altro, ma un dritto sentiero verso la conoscenza di noi stessi e la risoluzione di ciò che ci impedisce di essere sereni.
Certo, tutto ciò richiede opportuno allenamento.
Ci sono vari metodi per indurre questo stato di lucidità. Per collegarsi al mondo onirico la prima cosa da fare è quello di concentrarsi sul volersi davvero ricordare di stare sognando, magari ripetendo dentro di sè frasi che fungano da connessione. Quando finalmente si riesce a capire di essere dentro ad un sogno, bisogna effettuare dei “test” per capire se stiamo davvero sognando, come ad esempio guardarsi le dita delle mani per vedere se sono il numero giusto, provare ad accendere/spegnere un interruttore della luce, fare operazioni coi numeri: attività che se stiamo sognando è molto probabile che non forniranno un riscontro simile a quello della realtà concreta. Infine, se riusciamo a portare a termine il tutto senza svegliarci, possiamo definirci “onironauti” e iniziare a vivere questa vita parallela che ci svelerà sicuramente qualcosa di prezioso della sua complementare.
Sperimentare questi stati di coscienza rappresenta un'importante passo verso quella che saggi orientali e studiosi di meditazione trascendentale descrivono come una testimonianza ininterrotta dei loro sogni. Essi sono in grado di osservarli da fuori senza venirne affatto sopraffatti emotivamente e nemmeno minimamente turbati, grazie ad una totale accettazione costantemente esercitata, quel supremo distacco alla base di moltissime filosofie, frutto di una crescita evolutiva interiore della personalità.

Ma siamo davvero sicuri che valga la pena disturbare un mondo che è fatto per esserci difficilmente raggiungibile? Oppure è davvero la chiave per “vivere” otto ore in più, moltiplicate per tutti i giorni della nostra vita, o di esplorare territori ignoti che ci appartengono? Se possiamo imparare qualcosa, forse, il tentativo non è vano. Se quel qualcosa poi è riconoscere le nostre paure, i lati oscuri che ci impediscono di vivere in armonia e libertà, quasi quasi tanto vale provare.


Dalai Lama:
“Chi controlla i sogni, controlla la morte”.

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