Il dovere dell'accoglienza
In Tunisia la transizione verso le elezioni presidenziali che devono segnare una svolta dopo la cacciata di Ben Alì, sta avvenendo in maniera piuttosto confusa e disordinata. Una delle conseguenze di questa fase di assestamento è l'assoluta mancanza di controllo delle coste tunisine da parte delle forze dell'ordine. Ciò sta favorendo gli affari degli imprendibili mercanti di uomini e la partenza di decine di migliaia di sognatori tunisini nonché futuri clandestini verso le coste italiane.
Il tema dell'immigrazione è nuovamente al centro del dibattito politico e delle preoccupazioni dei governanti (ma anche della popolazione terrorizzata dai frequenti allarmi mediatici) da quando sono scoppiate le prime rivolte a Tunisi. Tuttavia, nel frattempo, non è stato predisposto alcun piano per l'accoglienza dei disperati ed ora il fenomeno, che attraversa una fase particolarmente intensa, si sta affrontando con le caratteristiche dell'«emergenza», come spesso piace fare alla classe dirigente del Bel Paese.
La maggioranza di Governo affronta l'immigrazione come fenomeno da debellare. Sono accettati solamente consigli sul «come». Il più gettonato sembra quello del rimpatrio, essendo disposti pure a sborsare dei soldi al Governo tunisino per riprendersi i propri cittadini. Nel mentre si cerca di trasferire in massa i clandestini, ben differenziandoli dai profughi, da Lampedusa verso altre tendopoli che si cerca a fatica di individuare. Le amministrazioni locali, in tutta Italia, sono pronte a sbandierare la minaccia delle dimissioni se intuiscono che il loro comune può diventare sede di un centro d'accoglienza per immigrati.
Le opposizioni, lungi dal presentare un piano alternativo per l'emergenza, accusano a loro volta il Governo di non avere un piano, se non quello pregno di intolleranza ma povero di contenuti dettato dalla Lega. Anzi, arrivano persino a sostenere che il Governo abbia favorito, con un volontario immobilismo, il caos a Lampedusa, in modo tale da far scattare la solita macchina mediatica di criminalizzazione dell'immigrato, in vista delle elezioni amministrative.
Del resto, la posizione dell'Italia sullo scacchiere europeo appare fin troppo debole per pretendere un aiuto dall'Unione Europea sulla questione dei profughi. Parimenti, l'Unione Europea non sembra in grado di prendere alcuna decisione politica in questa fase. Tuttavia la richiesta di un coinvolgimento dell'UE o dei singoli stati europei, almeno quelli più importanti, appare legittimo vista la concreta possibilità che anche le coste libiche diventino base ideale per la partenza di disperati. Tra chi dovrebbe fornire qualche forma di contributo all'Italia su questo tema devono esserci quei Paesi che sono determinati nell'annunciare i bombardamenti del territorio libico al fine, dicono, di salvaguardare la popolazione civile. Ecco, anche gli immigrati fanno parte della popolazione civile da salvaguardare. Inoltre, la maggior parte di questi sogna proprio l'Europa continentale come ultima meta del loro pericoloso viaggio.
Non è banale ripetere qui che di persone si tratta e non di numeri. Questo concetto risulta incomprensibile all'Italia cristiana-cattolica. In un Paese in cui la stragrande maggioranza degli abitanti vive in condizioni di benessere economico, non è possibile «accogliere» i più sfortunati senza saper fornire neppure beni di prima necessità.
Una soluzione che si potrebbe prendere in considerazione è quella di affidare, in un primo momento, la gestione di tale fenomeno alle organizzazioni del Terzo settore che sono in grado di farlo. Basterebbe mettere a disposizione centri d'accoglienza e adeguati finanziamenti (non per forza colossali) ad associazioni laiche senza scopo di lucro che avrebbero il compito di identificare gli immigrati, fornire prima assistenza ossia creare per loro immediatamente condizioni d'accoglienza realmente dignitose e realizzare una sorta di database per differenziare questi sognatori: c'è chi aspira ad un ricongiungimento familiare in un altro Paese d'Europa ed allora bisogna aiutarlo a raggiungere questo traguardo; c'è chi ha un obiettivo lavorativo ben preciso e quindi bisogna verificare se ha delle concrete possibilità d'occupazione; c'è chi, magari, si scopre delinquente ed allora va rimpatriato nel più breve tempo possibile.
Questa proposta è probabilmente figlia dell'ingenuità di chi scrive, come spesso lo sono le semplici soluzioni a problemi complessi. Ma il fine di un minimo di degna considerazione per i sognatori africani deve essere raggiunto da un Paese che si definisce (ma di frequente non lo è) civile. Un Paese da sessanta milioni di abitanti non può entrare nel panico per l'aggiunta di qualche decina di migliaia di uomini, donne e bambini. Lo tsunami umano, come in maniera infelice è stato definito questo intenso flusso migratorio, se così affrontato rischia di fare a pezzi l'esigua coscienza civile degli italiani.