Vizi pubblici e virtù private
A dispetto dei toni ultimativi che si ascoltano sui media, sarebbe opportuno partire dalla riflessione che la situazione politica italiana non presenta alcuna novità di rilievo.
Se la politica si misura per l'influenza che essa riesce ad avere sulla vita dei cittadini, stiamo assistendo in questi mesi semplicemente al solito dibattito avvitato sulle parole d'ordine di questa sciocca seconda repubblica, il federalismo, le tasse, le riforme, che si traducono in provvedimenti amministrativi tipici di un sistema burocratico auto-referenziale non in grado di supportare il lavoro e l'economia di fronte alle sfide del mondo globale.
Niente di diverso per la politica italiana dell'ultimo decennio, in cui la mancanza di strutturati pensieri politici impedisce un orizzonte riformista.
Il sistema di potere si occupa scientemente d'altro.
La maggiore audience la sta riscuotendo lo scontro senza regole ed esclusione di colpi tra la Procura di Milano e la Presidenza del Consiglio. Sembra che il premier realizzasse nella sua residenza privata una specie di 'night-club' per sé e i suoi amici e gli inquirenti intendono verificare se siano stati commesso dei reati. Questo è il compito della giustizia.
Compito della politica non è perseguire i reati ma guidare la nazione: partecipare alla discussione tra i sindacati, la Confindustria e la Fiat per individuare uno schema di regole per il nuovo mondo del lavoro; esercitare il ruolo di un paese mediterraneo per seguire da vicino lo svolgersi delle drammatiche vicende tunisine ed egiziane, per partecipare con la politica (e non con la forza militare) alla transizione richiesta dalle nuove generazioni del secolo che si è appena aperto.
Lo scopo della politica occidentale, insomma, è quello di indicare un pensiero politico in grado di tenere insieme le esigenze delle religioni tradizionali con la libertà individuale.
L'Italia pubblica di oggi, da brava provincia del basso Impero, si sta bizantinamente chiedendo se la morale venga prima della politica. Se lo sta chiedendo spiando dal buco della serratura di Arcore. Ma mentre le piccole perversioni dell'audience e del consenso mediatico razzolano negli umori umidi, il libero pensiero vola subito ai massimi sistemi.
In un paese democratico e liberale la risposta è inequivcabilmente negativa: non è ammissibile un'autorità che subordini ad un senso di moralità stabilito da qualcuno la volontà della maggioranza. Altrimenti, dal punto di vista dell'architettura istituzionale, si arriva a sostenere il modello di una magistratura sovraordinata alla rappresentanza politica che è quello che i giovani popoli dell'Egitto, della Tunisia e dell'Iran stanno mettendo in discussione.
Certo, il paragone pare esagerato. E lo è. Ma non è di paralleli audaci che ha paura il libero pensiero. In entrambi i casi il tema è lo stesso: quale assetto di potere, e nello specifico, quale assetto di potere preferire per la repubblica italiana.
La politica, esercizio di potere sovrano, non consente un'infinità di scelte, ma è più semplicemente l'arte del possibile.
Quindi chiediamoci se preferiamo che la politica sia soggetta all'apertura dei dossier della magistrature e delle inchieste giornalistiche e debba porgere le dimissioni insieme all'altra guancia sull'altare di una non meglio definita moralità, o se debba invece essere luogo di compromesso dove i rappresentanti del popolo si confrontano senza vincolo di mandato per risolvere i problemi del paese.
Penso che questo possa essere un buon punto di partenza per i partiti che desiderano pensare alla politica senza Berlusconi e senza le ingerenze dei media e delle manine che forniscono dossier, che tanto male hanno già fatto alla nostra cara repubblica nata dalla Resistenza e fondata sui partiti.
Lasciamo che le nuove generazioni di questo pianeta possano vivere in un paese libero dove il vizio privato non sia perseguito dalla legge, e dove ci siano le condizioni affinchè chi voglia occuparsi di politica possa far prevalere il proprio merito e la propria virtù.
Costruiamo dunque un mondo dove gli adulti possano infine ammettere con infantile candore che il Re è nudo.
Se la politica si misura per l'influenza che essa riesce ad avere sulla vita dei cittadini, stiamo assistendo in questi mesi semplicemente al solito dibattito avvitato sulle parole d'ordine di questa sciocca seconda repubblica, il federalismo, le tasse, le riforme, che si traducono in provvedimenti amministrativi tipici di un sistema burocratico auto-referenziale non in grado di supportare il lavoro e l'economia di fronte alle sfide del mondo globale.
Niente di diverso per la politica italiana dell'ultimo decennio, in cui la mancanza di strutturati pensieri politici impedisce un orizzonte riformista.
Il sistema di potere si occupa scientemente d'altro.
La maggiore audience la sta riscuotendo lo scontro senza regole ed esclusione di colpi tra la Procura di Milano e la Presidenza del Consiglio. Sembra che il premier realizzasse nella sua residenza privata una specie di 'night-club' per sé e i suoi amici e gli inquirenti intendono verificare se siano stati commesso dei reati. Questo è il compito della giustizia.
Compito della politica non è perseguire i reati ma guidare la nazione: partecipare alla discussione tra i sindacati, la Confindustria e la Fiat per individuare uno schema di regole per il nuovo mondo del lavoro; esercitare il ruolo di un paese mediterraneo per seguire da vicino lo svolgersi delle drammatiche vicende tunisine ed egiziane, per partecipare con la politica (e non con la forza militare) alla transizione richiesta dalle nuove generazioni del secolo che si è appena aperto.
Lo scopo della politica occidentale, insomma, è quello di indicare un pensiero politico in grado di tenere insieme le esigenze delle religioni tradizionali con la libertà individuale.
L'Italia pubblica di oggi, da brava provincia del basso Impero, si sta bizantinamente chiedendo se la morale venga prima della politica. Se lo sta chiedendo spiando dal buco della serratura di Arcore. Ma mentre le piccole perversioni dell'audience e del consenso mediatico razzolano negli umori umidi, il libero pensiero vola subito ai massimi sistemi.
In un paese democratico e liberale la risposta è inequivcabilmente negativa: non è ammissibile un'autorità che subordini ad un senso di moralità stabilito da qualcuno la volontà della maggioranza. Altrimenti, dal punto di vista dell'architettura istituzionale, si arriva a sostenere il modello di una magistratura sovraordinata alla rappresentanza politica che è quello che i giovani popoli dell'Egitto, della Tunisia e dell'Iran stanno mettendo in discussione.
Certo, il paragone pare esagerato. E lo è. Ma non è di paralleli audaci che ha paura il libero pensiero. In entrambi i casi il tema è lo stesso: quale assetto di potere, e nello specifico, quale assetto di potere preferire per la repubblica italiana.
La politica, esercizio di potere sovrano, non consente un'infinità di scelte, ma è più semplicemente l'arte del possibile.
Quindi chiediamoci se preferiamo che la politica sia soggetta all'apertura dei dossier della magistrature e delle inchieste giornalistiche e debba porgere le dimissioni insieme all'altra guancia sull'altare di una non meglio definita moralità, o se debba invece essere luogo di compromesso dove i rappresentanti del popolo si confrontano senza vincolo di mandato per risolvere i problemi del paese.
Penso che questo possa essere un buon punto di partenza per i partiti che desiderano pensare alla politica senza Berlusconi e senza le ingerenze dei media e delle manine che forniscono dossier, che tanto male hanno già fatto alla nostra cara repubblica nata dalla Resistenza e fondata sui partiti.
Lasciamo che le nuove generazioni di questo pianeta possano vivere in un paese libero dove il vizio privato non sia perseguito dalla legge, e dove ci siano le condizioni affinchè chi voglia occuparsi di politica possa far prevalere il proprio merito e la propria virtù.
Costruiamo dunque un mondo dove gli adulti possano infine ammettere con infantile candore che il Re è nudo.
non c'è che dire, Tobia: davvero ottimo articolo, chiaro, lucido. La prima parte in particolare è essenziale, inopinabile, quindi perfetta, potrebbe essere pensata per una sorta di manifesto!!!!
la parte finale invece credo possa essere soggetta a critiche…anche io, come te, sono favorevole a un approccio liberale e non paternalistico ai “vizi” privati..però, come si fa a scrivere che il vizio privato non debba essere perseguito dalla legge??
se il vizio è reato certo che deve essere perseguito (altrimenti giustificheremmo tutto classificandolo come vizio..”ho il vizio della piromania”, “ho il vizio della pedofilia”) ed a determinare quale vizio costituisca reato è proporio la legge, quindi la politica..
la questione non è così banale, dovendo la politica decidere quando un vizio costituisce reato e quando no..quale criterio adottare in merito?? io ti risponderei che un vizio non è perseguibile se non provoca danno a terzi o alla società; c'è invece che si appella all'etica religiosa, vietando certe scelte, e finchè questa parte ha la maggioranza dei voti è pienamente legittimata a scrivere l'equazione tra politica ed etica..cosa ne pensi?
quello che sostengo io è che la legge non debba perseguire il vizio in quanto tale, in base a motivi morali o religiosi.
in un paese liberale i comportamenti individuali sono liberi al di là dell opinione della maggioranza: tale equilibrio è un compromesso, mai perfetto, per il quale la legge è uno strumento e non un assoluto
per provare ad essere più preciso, quello che critico è la tesi secondo la quale un comportamento sia politicamente 'sbagliato' solo perchè 'contro la legge': essendo il mio un approcio riformista, che vuole cambiare la legge, ritengo che politicamente sia meglio interrogarsi nel merito del 'reato commesso' verificandolo nel merito. in quest'analisi, diventa rilevante non che il vizio sia moralmente esecrabile, ma che la legge sia opportunamente configurata per creare benessere per la comunità, in base a valutazioni evidentemente politiche.
vorrei anche sottolineare che, se quello della 'legalità' divenisse un criterio 'moralmente assoluto', basterebbe cambiare la legge per essere dalla parte del giusto. cosa che berlusconi ha capito e che cerca di sfruttare cambiando la legge attraverso il suo legittimo potere.
pertanto coi discorsi giuridici delle carte bollate vince lui, ma contro un ragionamento politico può perdere.
grazie dello spunto
ciao