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Scritto da nel La Cantina del Viaggiatore, Numero 76 - 1 Febbraio 2011 | 0 commenti

RetroAttivo

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Anche la banalità, a volte, può portare ad utili considerazioni.
Così in un numero che titola “In vino veritas”, semplicemente mi sono domandata: quale verità conosciamo sul vino? E soprattutto che mezzi abbiamo per decodificare una bottiglia di vino?
Da non esperta in materia mi rivolgo ai miei consimili aprendo magari il dibattito ai magister.
È indubbio che il primo strumento a nostra disposizione quando andiamo al supermercato, ops… in enoteca… è l'etichetta.
Dietro fantastici abbinamenti eno-gastronomici, al di là di sopraffine descrizioni degli impensabili sapori che le nostre papille gustative potrebbero degustare una volta aperta quella bottiglia, spolverando le romantiche visioni e storie di cascine secolari immerse nelle più belle campagne d'Italia… cosa in realtà sappiamo del vino che ci andremo a bere?
Ma cosa importa… dopotutto siamo un popolo romantico ed esteta… meglio non soffermarci sui contenuti…

I “vini da tavola” sono quelli più bistrattati. Semplificando, la normativa europea (753/2002) in materia stabilisce che le informazioni obbligatorie per questi vini sono:
- la denominazione di “vino da tavola”;
- la denominazione dello stato comunitario;
- il mélange di vini — qualora questi provengano da paesi differenti, e qualora si verifichi questa eventualità, vanno specificati i diversi paesi di provenienza delle uve —
- gradazione alcolometrica, riportata in unità e mezze unità in volume;
- quantità in l/cl/ml;
- nome dell'imbottigliatore e lotto.
A questi obblighi si possono aggiungere delle ulteriori informazioni facoltative quali:
- colore del vino (bianco, rosso, rosato);
- tipo di prodotto in relazione al tenore zuccherino;
- marchio e termine riferito all'attività agricola dell'imbottigliatore.

Per quel che riguarda gli IGT le ulteriori informazioni che hanno l'obbligo di mostrare i produttori, oltre a quelle obbligatorie per i vini da tavola, riguardano:
- la denominazione;
- l'area geografica (zona ed eventuale sottozona);

Per i VQPRD (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate), nei DOC e nei DOCG è obbligatorio evidenziare:
- il nome della regione di provenienza;
- l'annata delle uve;
- la menzione (VQPRD, VSQPRD – vino spumante di qualità prodotto in regione determinata -, VLQPRD – vino liquoroso di qualità prodotto in regione determinata, VFQPRD – vino frizzante di qualità prodotto in regione determinata – )
- la menzione complementare (“riserva”, “riserva speciale”, “superiore”, “recioto”, “amarone”…)

In ogni bottiglia di vino inoltre, è obbligatoria la scritta “CONTIENE SOLFITI” qualora la concentrazione di solfiti sia superiore a 10mg/litro. Tuttavia ciò non obbliga i produttori a specificare che concentrazione di anidride solforosa noi potremmo riscontrare nel vino che abbiamo scelto di bere. Questa potrebbe essere di poco superiore ai 10mg/litro o superare abbondantemente i limiti consentiti. Questo non ci è dato sapere.

Ciò che ci è dato sapere, però, è che l'anidride solforosa è un gas aggressivo che si ottiene dalla combustione dello zolfo nell'aria. Nel vino viene utilizzato in varie fasi di produzione come conservante, svolgendo azione antisettica, antiossidante ed antibatterica.
Nell'uomo è altamente tossica: inattiva le vitamine B1 e B12, provoca asma, faringiti, acidità urinarie, perdita dell'olfatto ed in alcuni soggetti allergie.

Ma qualora non utilizzassimo l'anidride solforosa, quale alternativa ci sarebbe per conservare il vino in un modo più naturale?
Come spiega in un'intervista Angiolino Maule, produttore vitivinicolo naturalista, un vino naturale presuppone di non utilizzare la chimica né in vigna, né tantomeno in cantina. Ciò significa fermentazioni spontanee, senza l'uso di solforosa e di lieviti. È importante agire migliorando le condizioni del suolo rivitalizzandolo con dei compost vegetali, molto ricchi di carbonio e poveri di azoto, con degli scioveci, con la semina delle leguminose, delle graminacee, per reintegrare la materia organica che manca nei suoli agrari. È inoltre importante trattare il suolo con dei latto- fermentati per eliminare le principali malattie della vigna: la peronospora e l'oidio. In tal modo si cerca di eliminare lo zolfo ed il rame che in fondo sono metalli pesanti. Maule ritiene che con queste pratiche i vini possono conservarsi tranquillamente anche per dieci anni.
Nelle sue etichette, il produttore di Gambellara, cerca di rendere il più possibile trasparente il suo metodo di lavoro in vigna ed in cantina, mostrando le analisi chimiche del suo vino.
Eccone un esempio:

Un ulteriore passo in avanti verso la trasparenza del vino lo fa Gabrio Bini con la particolareggiata retroetichetta del suo “Serragghia Bianco”. Oltre a tutte quelle indicazioni che sono obbligatorie e facoltative, Bini presenta il suo vino descrivendo minuziosamente non solo tutte le sue caratteristiche, ma anche tutti quei prodotti che non sono stati aggiunti, dandoci un'idea di come un vino possa essere costruito in cantina.

Insomma… De vino veritas saniores, feliciores et certiores facit homines.

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