L'acqua se ne vada
Per un epicureo scrivere del vino è un pò come scrivere d'una bella donna: rispetto, stupore, ammirazione ed uno spirito un pò guascone, sono gli stati d'animo con cui sfiorare l'antica bevanda. E questa, non dovrà certo offendersi se qualche inopportuno s'è permesso talvolta di ricordare la sua età: nell'antico Egitto la produzione vinicola era una procedura già largamente consolidata, al punto che svariate anfore ricolme, composero parte del corredo funerario del re Tutankamon.
Le prime testimonianze di vinificazione risalgono comunque ad epoche di gran lunga antecedenti all'Egitto dei faraoni, fino a perdersi nella leggenda: reperti archeologici risalenti al neolitico (8000 a.C), attestano già di alcuni tentativi spesi dall'uomo in questa direzione.
Ripercorrendo le orme del vino, sembra quasi di ritrovarsi, come in un gioco prospettico, a calcare le impronte lasciate dall'uomo nelle diverse epoche.
In questa prospettiva, è del tutto normale che già dall'antichità, poeti, filosofi e uomini di stato, misurassero il proprio pensiero e talvolta le proprie opere, con questa bevanda dalle virtù inebrianti.
Per Orazio: Nessuna poesia scritta da bevitori d'acqua può piacere o vivere a lungo. Da quando Bacco ha arruolato poeti tra i suoi Satiri e Fauni, le dolci Muse san sempre di vino al mattino.
In fondo, il poeta del Carpe diem, sanciva con questi pochi versi, quanto il sentimento comune e la tranquillità del pantheon pagano, avevano già introiettato da diversi secoli, ovvero un posto di rilievo per Dioniso il greco e per Bacco il latino, accanto alle altre divinità dell'Olimpo.
L'aspetto capace d'affascinare e turbare gli antichi non meno dei moderni, rimanda in modo diretto all'alterazione degli stati percettivi e di coscienza tipica dell'eccesso alcolico: Vino pazzo che suole spingere anche l'uomo molto saggio a intonare una canzone, e a ridere di gusto, e lo manda su a danzare, e lascia sfuggire qualche parola che era meglio tacere (Omero), Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere (Baudelaire), e ovviamente, In vino veritas…
Tralasciando i giudizi di gusto e le ovvie considerazioni di carattere sanitario, è proprio questo "straparlare" e il generale abbassamento del livello d'inibizione, che fornisce ad un tempo l'appiglio alle critiche dei detrattori, ed un tipico benessere agli amanti della bottiglia.
Non è dunque un caso, che Friedrich Wilhelm Nietzsche, uno dei più feroci critici della modernità e delle convenzioni statuali basate sul "quieto vivere", abbia riscontrato nello spirito dionisiaco in contrapposizione a quello apollineo, uno dei capisaldi del proprio pensiero poeticamente distorto.
Se la concezione apollinea può rappresentare la temperanza e l'aristotelico giusto mezzo tramandato dell' Etica Nicomachea, il Dionisiaco è invece la sua negazione: l'incondizionato sì alla vita, e la felice accetazione degli istinti primordiali di cui la vita pre-sociale s'alimenta.
Condizione necessaria per Dionisio, il vino scivola da sempre copioso nel convivio e nel baccanale, come un gaudioso ed insalubre comburente, capace di scheggiare il domino della ragione con lo scalpello dell'istinto.
In ogni caso, il dionisiaco resta uno stato momentaneo, un crinale dove scivolare per brevi istanti, e dove la vertigine prospettica risuona dell'eco di Catullo: L’acqua se ne vada dove vuole a rovinare il vino, lontano, fra gli astemi.