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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 76 - 1 Febbraio 2011 | 1 commento

E mai che mi sia venuto in mente…

Stavo ancora con la Puny, la mia prima moglie, e una sera che eravamo a Portobello di Gallura, dove avevamo una casa, fummo invitati in uno di questi ghetti per ricchi della costa nord.
Come al solito, mi chiesero di prendere la chitarra e di cantare, ma io risposi -”Perchè, invece, non parliamo”, era il periodo che Paolo VI aveva tirato fuori la faccenda degli esorcismi, aveva detto che il diavolo esiste sul serio. Insomma a me questa cosa era rimasta nel gozzo e così ho detto: “Perchè non parliamo di quello che sta succedendo in Italia”. Macchè, avevano deciso che dovessi suonare. Allora mi sono rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, ho insultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto 'Amico Fragile'. La Puny mi ha stanato alle otto del mattino, non mi trovava nè a letto nè da nessuna parte, ero ancora nel magazzino che finivo di scrivere.




Con queste parole De Andrè racconta l'origine di Amico Fragile, una delle sue opere più poetiche, certamente una delle più sincere. Una canzone che nasce dalla volontà del cantautore di dissociarsi dal bon ton della socialità alto borghese per abbandonarsi al delirio di quella che a Bologna si direbbe una “bresca malata”. Manifestazione del suo disprezzo per la serata, la gente, gli atteggiamenti, l'arroccamento nel vino esalta la sensibilità di Fabrizio che trova sfogo in un (apparente?) flusso di coscienza che scorre lungo una melodia che ricorda quelle di Avalanche o Stranger Song del suo “amico nella canzone”* Leonard Cohen. Travolto da una valanga qualunquista che gli seppellisce l'anima (Well I stepped into an avalanche, it covered up my soul recita la canzone del cantautore canadese), De Andrè cerca rifugio nel vino, o forse nel whiskey, che gli consente di evaporare in una nuvola rossa e spogliarsi delle costrizioni sociali che lo disgustano. Quasi come un abitante di Spoon River che dorme sulla collina, Fabrizio si rivela denunciando le ipocrisie e la futilità di chi è cortese ma stanco, e lo fa senza rimpiangere le sue debolezze e la sua natura, umana e lontana dalle stelle, che tuttavia non gli impedisce di raggiungere la signorina Anarchia che, per l'appunto preziosa come il vino, gli consente di rispondere “arrivederci” ai vari “come sta” degli amici forti. L'intimo svelato di De Andrè appare però molto differente da quello dell'anarchico Suonatore Jones. Le immagini crude e la cupa melodia di Amico Fragile si discostano dalla serenità che avvolge le confessioni del violinista di Spoon River. La gonna di Jenny lascia il posto al cesareo fresco di una ballerina di seconda fila ed a svegliare la signora libertà non è il fruscio di ragazze a un ballo o un compagno ubriaco, ma la richiesta “ad uno qualunque dei miei figli di parlare ancora male e ad alta voce di me” o l'“assumere un cannibale al giorno”. La libertà che riesce a raggiungere Fabrizio e spesso ricercata proprio nel vino non è la stessa del suo omologo di Spoon River che, unico personaggio del disco a mantenere il proprio nome, si eleva, e viene elevato dal cantautore, ad archetipo del vero anarchico, il solo veramente in grado di offrire “la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero non al denaro non all'amore né al cielo”.


* “allow me to express my respect to the memory of Fabrizio De Andrè and my gratitude for our friendship in song” recita la dedica di Leonard Cohen al cantautore genovese.

1 Commento

  1. Ci sta. Ho risentito tutta la canzone, non mi stancherò mai. Bisognerebbe più spesso trovare il coraggio di alzarsi da certe tavolate che non gradiamo dopo aver insultato tutti per rifugiarci poi in una bottiglia di vino o di whisky, per riappacificarci con noi stessi e addormentarci.

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